CAPITOLO 2 - TECNICHE DI ANALISI FONDAMENTALE
2.2.4 Un approccio alternativo: il T-model
Dopo
aver presentato modelli fondati sull'attualizzazione dei dividendi o su
indicatori di mercato, verrà analizzata di seguito una tecnica di valutazione
dei titoli azionari di maggiore concretezza ed aderenza alla realtà: il
T-Model (35).
Il
T-Model si basa su di un'equazione, volta a definire un tasso di rendimento
atteso (total return, da cui deriva T-Model); per stimare tale
rendimento il modello parte dall'equazione di Gordon-Shapiro, già
vista nel paragrafo 2.2.2, a proposito del modello di attualizzazione
dei dividendi in crescita costante:
Il
rendimento deriva dal tasso di dividendo (yield) e dal tasso di
crescita (growth). Tale relazione può essere ulteriormente sviluppata,
introducendo le determinanti del tasso di crescita, già viste in precedenza:
g = ROE (1 - b)
Fino
ad ora si rimane nella logica dei modelli precedentemente sviluppati.
A questo punto però il T-Model si contraddistingue per approfondire ulteriormente
il significato del tasso di crescita aziendale; non si richiede la stima
piuttosto arbitraria di payout o di tassi di crescita degli utili
costanti all'infinito, ma ci si concentra molto più concretamente sulle
relazioni tra crescita aziendale, necessità di adeguamento del patrimonio
e conseguente ricorso ad operazioni di variazione del capitale sociale.
Le
ipotesi del modello di Estep sono meno restrittive rispetto ai modelli
precedenti. In primo luogo si assume che il risultato economico, il risultato
operativo, la struttura finanziaria e il turnover delle attività totali
rimangano costanti, il che può anche implicare che le grandezze in oggetto
mutino dello stesso tasso percentuale.
In
secondo luogo si ipotizza che il finanziamento della crescita avvenga
attingendo innanzitutto agli utili non distribuiti e, nel caso fossero
insufficienti, ad aumenti di capitale a pagamento, interpretati come una
sorta di dividendo negativo; nel caso opposto di eccedenza dell'autofinanziamento
rispetto alle esigenze di crescita patrimoniale , si genera un free
cash flow destinato al riacquisto sul mercato di azioni proprie, che
costituisce per i soci un rendimento aggiuntivo rispetto al normale dividendo.
Le scelte in materia di distribuzione di dividendi diventano quindi ininfluenti
per la formazione del rendimento atteso del titolo: gli azionisti percepiscono
oppure pagano una somma pari alla differenza tra utili netti e variazione
del patrimonio determinata dalla crescita aziendale.
Rappresentiamo
in questo modo la prima parte dell'equazione del rendimento atteso, corrispondente
al cosiddetto cash flow yield:
La
variabile Xcf corrisponde all'excess cash flow destinato, come
si diceva, al riacquisto sul mercato di azioni proprie nel caso sia positivo
e all'emissione di nuove azioni nel caso sia negativo. L'excess cash
flow si ottiene chiaramente sottraendo agli utili netti non distribuiti,
il fabbisogno determinato dal finanziamento della crescita (tasso di crescita
g moltiplicato per l'ammontare del patrimonio iniziale Pn):
Sostituendo
questa definizione nella formula del cash flow yield, si ottiene:
da
cui, dividendo numeratore e denominatore per Pn0 (essendo la redditività
del capitale proprio Roe pari all'utile diviso per il patrimonio netto)
si avrà:
Rimane
ora da determinare una seconda componente del rendimento atteso, quella
crescita in linea capitale che corrisponde alla variazione percentuale
del prezzo di mercato. Il controvalore delle azioni, in termini di patrimonio
netto contabile, sarà variato rispetto all'ammontare iniziale in ragione
del tasso di crescita g. Di conseguenza la variazione percentuale
di prezzo potrà essere spiegata dalla trasformazione in valori di mercato
dei valori netti contabili, attraverso il multiplo Prezzo/Patrimonio netto;
perciò la componente di rendimento in linea capitale sarà determinata
sia dal tasso di variazione contabile del patrimonio g e sia dalla
modificazione del multiplo Prezzo/Patrimonio netto. Riassumendo in termini
algebrici:
Per
cui sommando le due componenti del cash flow yield e della variazione
percentuale di prezzo, si ottiene il rendimento complessivo atteso T del
modello di Estep definito secondo la seguente equazione:
Dall'equazione
finale del modello si evince che la previsione dei rendimenti attesi implica
la stima del tasso di crescita del patrimonio, del Roe e della variazione
del multiplo P/Pn. Rispetto ad altri modelli quindi il T-model ha il pregio
di considerare prevalentemente grandezze contabili; la stima del Roe si
riduce alla previsione dell'utile netto, con gli accorgimenti indicati
in precedenza nell'ambito del metodo di mercato; anche per la stima del
tasso di crescita g ci si può riferire a quanto enunciato nell'ambito
dei modelli di attualizzazione dei dividendi. Il problema principale della
stima del rapporto P/Pn viene aggirato ipotizzando che tenda a convergere
gradualmente verso un valore medio-normale di settore; questa forzatura
non inficia la bontà del modello, in quanto in alcune verifiche empiriche
(36) effettuate sul mercato americano si è
riscontrato che la maggior parte dei rendimenti medi realizzati, è spiegata
dalla somma dei primi due termini, che presentano tra l'altro anche una
variabilità minore.
Le
stesse verifiche effettuate sembrerebbero dimostrare che i portafogli
composti da azioni selezionate in base all'elevato rendimento atteso stimato
dal T-model, ottengono ottime performance rispetto all'indice di mercato,
con una volatilità di poco superiore. Ma ci sono altri buoni motivi per
utilizzare il modello di Estep nella valutazione dei titoli azionari:
maggiore concretezza, variabili direttamente desumibili da fonti correntemente
utilizzate dagli analisti, rendimenti di periodo a breve termine ed approccio
equilibrato.