Il Phoenix Memory Callable di Barclays paga 16 punti di rendimento annualizzato su titoli farmaceutici
In questa prima metà del 2023 decisamente fuori dalle righe sui mercati finanziari, l’interrogativo più ricorrente tra gli addetti ai lavori riguarda la sostenibilità del trend rialzista attualmente in atto. Se vedere gli indici europei in costante crescita non è ormai più una sorpresa, le ultime settimane dei titoli tecnologici hanno letteralmente spiazzato le aspettative di molti operatori di mercato: sostenuto da colossi come Apple, Microsoft, Alphabet, Nvidia e Meta, il Nasdaq si è spinto fino alle porte dei 15.000 punti, una soglia che sembrava irraggiungibile fino a qualche mese fa almeno nel breve-medio termine. A sostenere la tendenza in atto, l’indice della paura Vix che si attesta su valori estremamente bassi, a ridosso del 15%, come non si vedeva dal pre-Covid: nemmeno lo spaventoso rally del 2021 era stato accompagnato da una volatilità così compressa.
Cosa significa tutto ciò per gli investitori in certificati? Le vecchie emissioni che avevano beneficiato, in fase di strutturazione, di una volatilità più elevata rispetto a quella attualmente osservabile sui mercati, hanno visto le proprie quotazioni avanzare, a parità di altre condizioni; parallelamente, i prodotti di nuova emissione non riescono generalmente a pagare, sempre a parità delle altre condizioni, premi periodici confrontabili con quelli visti ad inizio anno o sul finire di 2022. Bisogna però fare attenzione a non fare di tutta l’erba un fascio, perché andando a scandagliare attentamente il mercato secondario è ancora possibile individuare soluzioni di investimento interessanti, magari scritte su settori che non hanno espresso upside così importanti nel primo semestre nell’anno, magari perché legati ad azioni meno volatili.
Un possibile esempio di quanto rappresentato è il Phoenix Memory Callable (ISIN: XS2470033551) emesso da Barclays e scritto su un basket composto da Pfizer, Merck, Bayer e Sanofi. Il prodotto presenta barriere capitali relativamente difensive: su Pfizer, ad esempio, la barriera è posta a quota 26,3 dollari, livello che la società non “vede” dal 2014; allo stesso modo su Sanofi la barriera è 53,22 euro, sui prezzi del 2012; su Merck la barriera è a 110,85 euro, livello mai più raggiunto dal titolo dopo la crisi pandemica; infine, su Bayer è posizionata 35,28 euro, al di sopra dei prezzi battuti dal titolo durante i momenti più difficili dell’affaire Monsanto. Il certificato paga un premio estremamente interessante e pari al 3,75% trimestrale (15% p.a., trigger premio posto in corrispondenza del 60% degli strike price), con durata massima pari a tre anni. Il premio particolarmente allettante è giustificato dalla presenza dell’opzione callable in capo all’emittente, che può richiamare discrezionalmente il prodotto, a partire dalla prossima data del 10 agosto 2023, rimborsando il valore nominale, pari a 100 euro, maggiorato della cedola del 3,75%.
Qualora si giunga alla data di osservazione finale del 10 agosto 2026 senza che il certificato sia stato richiamato dall’emittente, il prodotto rimborserà il proprio valore nominale, oltre ad un ultimo premio, qualora Bayer, titolo peggiore che attualmente compone il paniere (all’86,92% dello strike price) non perda un ulteriore -31% circa dalla quotazione corrente. Al di sotto del livello barriera il valore di rimborso del certificato verrà invece diminuito della performance negativa del titolo worst of, che verrà calcolata a partire dallo strike price. Il certificato è quotato sul Cert-X ad un prezzo lettera di poco superiore ai 98 euro, con un rendimento ottenibile dall’investitore pari ad oltre il 16% annualizzato, in caso di mantenimento della barriera a scadenza.
Dall’analisi comparativa con un analogo certificato quotato sui medesimi sottostanti e con scadenza molto simile si evince come il certificato di Barclays sembrerebbe essersi “fermato”: il rendimento annualizzato superiore al 16% supera infatti di gran lunga il 12% prospettato dall’emissione comparabile.
FOCUS CALLABILITY
Sempre più diffusi sul mercato, i certificati con opzione facoltativa di rimborso anticipato lasciano più di un dubbio agli investitori in merito ai criteri che possono indurre l’emittente al richiamo. Benchè non esista una casistica ben definibile di scenari favorevoli o avversi, possiamo cosi sintetizzare:
- L’andamento dei sottostanti riveste un ruolo non determinante. L’emittente potrebbe decidere di richiamare e rimborsare anticipatamente un certificato i cui sottostanti sono in moderata flessione rispetto all’emissione e di lasciare in vita fino alla scadenza naturale un certificato i cui sottostanti sono in forte apprezzamento.
- Più che dall’andamento dei sottostanti, il richiamo può essere influenzato dalla componente “tassi” e dalla volatilità del mercato.
- In uno scenario di mercato tale da consentire all’emittente di lanciare un nuovo certificato con premi potenziali inferiori a quelli del certificato da richiamare, sarà più probabile che l’emittente stesso decida di liquidare il certificato più generoso. In uno scenario contrario, indipendentemente dall’andamento dei sottostanti, sarà ben poco probabile che l’emittente decida di rimborsare anticipatamente.
- Il richiamo anticipato non viene mai comunicato in anticipo bensì al termine della seduta di Borsa per la quale è previsto l’esercizio
- Nonostante l’andamento dei sottostanti non sia determinante è possibile affermare che molto difficilmente l’emittente rimborserà anticipatamente il nominale di un certificato i cui sottostanti sono in forte flessione rispetto all’emissione.
Report a cura di Pierpaolo Scandurra
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