Wall Street bloccata dal fattore tecnico

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 22/11/2022 10:27

Goldman Sachs per citarne una si aspetta ora un ulteriore aumento del Fed Funds rate prima della vetta: dopo i 50 punti base ormai acquisiti per dicembre, altri 25pb a febbraio, a marzo e poi ancora a maggio, prima di un terminal rate al 5-5.25%.

 

Settimana complessivamente all’insegna del consolidamento, con sole 5 piazze nel G25 che conseguono un apprezzamento superiore al punto percentuale: fra cui tre asiatiche (Hong Kong, Taiwan e Singapore) e la rediviva Francoforte. Per la prima volta dopo un anno e mezzo l’indice DAX mette a segno un progresso per la settima settimana consecutiva. Una impresa d’altri tempi se si considera che, dal 2000 in poi, una successione simile è stata conseguita soltanto altre sette volte, con la borsa tedesca che si è confermata per un’ottava settimana in soli altri due episodi.

Wall Street batte in testa, con lo S&P500 perfettamente contenuto dalla media mobile esponenziale a 200 giorni e dal puntiglioso ritracciamento del 61.8% della discesa dal massimo di agosto. Un comportamento che ha contraddistinto tutto il 2022: ogni rally quest’anno si è spento subito dopo aver raggiunto una simile proporzione rispetto al ribasso precedente. Chi confida nella estensione del rimbalzo dovrebbe prima conseguire il superamento di questo impegnativo schema comportamentale.

Sul piano macro, le incertezze dei listini possono essere ricondotte alle nuove argomentazioni proposte dagli esponenti più rigidi (ed autorevoli) della Fed. Goldman Sachs per citarne una si aspetta ora un ulteriore aumento del Fed Funds rate prima della vetta: dopo i 50 punti base ormai acquisiti per dicembre, altri 25pb a febbraio, a marzo e poi ancora a maggio, prima di un terminal rate al 5-5.25%.

Troppo per le megacap del settore Growth che, a dispetto del nome, da tempo non riescono più a crescere come una volta, privando il listino USA di un contributo decisivo. Non è un caso che gli indici europei – ma non solo – siano riusciti a spingersi ben oltre i massimi estivi, a differenza di S&P500 e dei principali indici americani.

Sullo sfondo permane la minaccia di una recessione sulla carta data come ormai ineluttabile. Secondo le nostre stime il 74% dei singoli segmenti della curva dei rendimenti americana, mostra un’inclinazione negativa, con le scadenze a breve che si collocano su livelli superiori rispetto a quelle a lunga. Una proporzione negli ultimi cinquant’anni superata soltanto prima delle recessioni del 2001 e del 2008. E neanche di molto.

Il punto è che se alcuna recessione si concretizzasse anche pure fino alla fine del prossimo anno, sarebbe la prima volta dagli anni Sessanta ad oggi che un’inversione della curva con tutti i crismi non conducesse ad una formale contrazione del ciclo economico. Certo, di questi tempi tutto può essere...

 

A cura di Gaetano Evangelista
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