Jeremy Grantham ancora una volta chiama un crash del mercato azionario, facendo la felicità degli investitori contrarian. Nel frattempo la stagione degli utili entra nel vivo, con il mercato che ha corso non poco nelle settimane precedenti. Anticipando troppo?
Un inizio di settimana all’insegna di alcune fisiologiche prese di beneficio, è stato favorevolmente condizionato negli USA dai primi pronunciamenti politici riguardo la spinosa questione del tetto del debito federale, con lo speaker repubblicano al Congresso che ha annunciato la disponibilità di una maggioranza di voti sufficiente per “scalciare il barattolo” in avanti ancora di un anno, in cambio della disponibilità ad approvare misure contenitive di finanza pubblica. È un primo passo, ben visto dal mercato: passato a quel punto da un saldo negativo ad una performance positiva.
Merito anche del tono favorevole del settore bancario, con gli istituti di maggiori dimensioni che hanno terminato la seduta in progresso del 2.5%; +2.8% per le banche regionali. Confortanti i risultati di bilancio di Charles Schwab, nel mirino alcune settimane fa, mentre oggi riportano Goldman Sachs e Bank of America.
Una volta ottenute rassicurazioni su questo fronte, l’attenzione dei trader si sposta sulla stagione degli utili del primo trimestre, da poco incominciata. Le stime parlano di un monte EPS in calo del 7.5% rispetto ad un anno fa, con il Q2 che denuncerebbe una analoga dinamica. Ma il mercato guarda in avanti con fiducia, a giudicare dal rally messo a segno di recente.
Con un progresso di quasi il 7%, il mese che ha preceduto questa earnings season risulta il 14esimo migliore della storia. Bisognerebbe risalire al 2009 per scorgere un preambolo borsistico così generoso. L'esame di tutti i precedenti analoghi fornisce un'idea di cosa aspettarsi nei prossimi mesi. Soprattutto, è abbastanza da rigettare l’ipotesi che il mercato abbia scontato il meglio possibile, e possa andare incontro a rigurgiti ribassisti.
Se ne farà una ragione Jeremy Grantham, che venerdì è tornato a tuonare nei confronti del mercato azionario americano, prevedendone un crollo del 27% nella ipotesi più benigna. Aggiungendo questa ulteriore chiamata al suo track record non del tutto cristallino negli ultimi quindici anni. Un salutare e benvenuto mattone nel muro di paura.
È naturale che gli investitori temano il peggio. È comprensibile, alla luce degli eventi che le cronache finanziarie e non ci consegnano a ripetizione. Ma dal minimo di ottobre sono passati ormai più di sei mesi, e se da un lato molti non si rassegnino alla (remota) possibilità di rivedere quei minimi, la statistica rivela diversamente: quando un bottom qualificato – intendendosi per esso il culmine di un ribasso superiore al 25% - è seguito da un rally che si estenda per oltre sei mesi, come è avvenuto di recente; lo S&P500 nei sei mesi successivi ha realizzato nuovi minimi praticamente in un solo episodio, sui 13 registrati dal Dopoguerra ad oggi.
Di Gaetano Evangelista
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