Perché gli istituzionali fanno incetta di opzioni put sull'indice?

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 11/04/2017 16:19

Settimana riflessiva, per i mercati azionari mondiali. Il fattore macro ha spiegato buona parte delle performance degli ultimi quattordici mesi; il medesimo fattore risulta ora zavorrante: gli indici (CESI) delle sorprese macro sono in ripiegamento negli Stati Uniti, nel G10, in Europa e nelle economie emergenti. In Germania e Giappone si collocano addirittura sotto la linea dello zero; in Italia il CESI flirta con la linea dell'equilibrio.

Le crescenti delusioni sul fronte macro iniziano ad impattare sulle aspettative: il GDP Now della Fed di Atlanta stima per l'economia americana una crescita reale, nel passato primo trimestre, contenuta allo 0.6% annualizzato, dall'1.2% della precedente proiezione; un paio di mesi fa le attese prevedevano il "2", prima della virgola.

Così come le borse mondiali sono cresciute, con dati economici brillanti e sorprendenti, allo stesso modo il timore è che le montanti delusioni possano indurre gli investitori a rivedere il loro entusiasmo. Per fortuna, come detto, almeno negli Stati Uniti le aspettative sono state sufficientemente piallate, e lo spazio per sorprese negative si è ridotto; specialmente ora che i modelli previsionali lasciano intendere la prospettiva di una ripartenza di Wall Street. 

In Italia il mercato azionario resta aperto alla possibilità di un estensione del rialzo. La tenuta dei primi supporti (long stop giornaliero) consente di mantenere in essere il target riproposto nel rapporto di oggi, salvo appunto prova contraria. Induce però a riflessione la persistente tendenza degli investitori (istituzionali, diremmo) a prediligere di netto le opzioni put sull'indice, scambiate in misura superiore a due volte, rispetto alle call, in ben 6 delle ultime 14 sedute: un fenomeno talmente raro, che negli ultimi sedici anni è stato registrato in tutto soltanto altre due volte, come si può notare.


Gaetano Evangelista
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