E ricordarsi sempre: Don't Fight the Fed

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 06/09/2022 10:14

Wall Street si lecca le ferite, dopo due settimane da dimenticare. Il sentiment degli investitori è prevalentemente negativo, ma questo non ha impedito alle quotazioni di permanere in bear market. Ancora valido il contributo previsionale dell'analisi ciclica.

 

Sono state due settimane drammatiche per Wall Street, con l’indice Dow Jones che in questo arco di tempo ha ceduto poco più del 7 percento. Era già successo in occasione del tonfo della prima metà di giugno, mentre per ritrovare una simile vulnerabilità occorrerebbe ritornare ad inizio 2020.
 

Il comportamento arrendevole messo in campo dagli investitori, ricalca lo script delineato all’indomani dell’estremo di sentiment negativo raggiunto a giugno: quando la media dei sondaggi condotto da AAII, da Investors Intelligence e da Market Vane, fletteva mestamente sotto il 30% di Tori. Una circostanza sperimentata già questo secolo a settembre 2001 ed a luglio 2002: quando il mercato trovò la forza per rimbalzare, ma non già per invertire tendenza. Un severo monito che bisogna tenere sempre ben a mente.


Quando si studierà il 2022 sui libri di storia finanziaria, un classico adagio sarà rievocato: Don’t Fight the Fed. Il mercato ha perso prevedibilmente terreno in concomitanza con l’assunzione di una impostazione restrittiva da parte della banca centrale americana e, a ruota, di tutti gli istituti di emissione globali. Gli attivi complessivi della Federal Reserve hanno cessato di crescere sostanzialmente a gennaio, e dal picco si sono ridimensionati dell’1.6%: neanche tanto, considerato che in meno di due anni sono passati da 4 a 9 trilioni di dollari, e che l’intento di Powell è di neutralizzare l’eccesso di liquidità generato per fronteggiare l’emergenza pandemica.
 

Tutto sommato, insomma, poteva andare molto peggio ai listini azionari, tenuto conto che lo S&P al momento cede soltanto il 18% dal massimo di inizio anno; il 27.5% il Nasdaq dal picco di novembre. A fare le spese di questo cambio di regime è stato soprattutto il mercato obbligazionario: di cui tutti ora finalmente scorgono il bear market e la sopravvalutazione qui denunciato a partire da gennaio.
 

La scorsa settimana ci siamo soffermati sulla stagionalità inframensile di settembre, per cui l’evoluzione delle prossime settimane non dovrebbe evidenziare clamorosi andamenti. Di conforto risulterà l’analisi ciclica, con questa successione, in essere dalla fine dello scorso anno, che sullo S&P500 propone ora un minimo in formazione: un bottom dovrebbe intervenire non più tardi dei primi giorni di questa settimana, se il ciclo a 37 giorni non dovesse disattendere le aspettative.

 

Report a cura di Gaetano Evangelista
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