Le borse affrontano le insidie delle imminente elezioni presidenziali USA con una performance eccezionale, che esprime la notevole fiducia per il tessuto economico americano. Ma quasi tutte le borse hanno brillato in questo indimenticabile 2024.
Mercati azionari alla seconda settimana di consolidamento, nell’ambito di una annata finora straordinaria per generosità delle performance elargite. La sensazione è che i listini prezzino una minore probabilità di successo nelle urne da parte di Donald Trump – stimeremmo soggettivamente dal 65 al 55% - con le cui chance di affermazione sono cresciuti negli ultimi mesi. Va ricordato che già 60 milioni di elettori hanno espresso la loro preferenza nelle urne.
Ciò non toglie che per Wall Street quello che storicamente risulta il semestre “gramo”, si sia chiuso con il saldo migliore dal 2009. Discorso generalizzabile: secondo miglior semestre maggio-ottobre degli ultimi 15 anni per il MSCI World, mentre gli indici europei sono rimasti al palo, in attesa di auspicabili ma ancora poco visibili buone nuove da Pechino. E da Washington.
Da inizio anno ben 25 dei primi 30 indici al mondo per capitalizzazione, conseguono un saldo positivo. Steccano i listini di Messico, Corea del Sud, Brasile, Francia e Finlandia; mentre brillano, con performance superiori al 15%, le borse di Taiwan, Hong Kong, Stati Uniti, Israele, Spagna e Canada.
Sicuramente è risultata nota stonata la chiusura marginalmente negativa di ottobre a Wall Street, ma un saldo tinto di rosso, dopo cinque mesi di segno positivo, è stato sperimentato altre 31 volte nella storia, ed è di buon auspicio nel medio periodo, come esaminato nel Rapporto Giornaliero di venerdì, e ribadito questa mattina.
Il dato sull’occupazione nel mese passato ha deluso le aspettative medie formatesi alla vigilia ma, al netto della sostanziale revisione a cui andrà certamente incontro, corrobora la Federal Reserve nell’orientamento di tagliare i tassi ufficiali, 48 ore dopo la celebrazione dell’appuntamento elettorale di martedì sera.
In effetti la politica monetaria risulta dovish. È vero che allo stesso tempo la banca centrale americana è impegnata in un complesso Quantitative Tightening, con il progressivo sgonfiamento del bilancio. Ma l’impatto sulle borse si rileva al margine: con il tasso di variazione a 4 settimane che, pur negativo, punta recentemente verso l’alto. E questo a Wall Street piace.
Ne fa invece le spese il mercato obbligazionario. Il Treasury decennale ha ceduto più del 5% ad ottobre. Negli ultimi dodici mesi il bilancio rimane positivo ma, anche tenuto conto delle cedole incassate, negli ultimi cinque anni un investitore che avesse puntato sui titoli di Stato americani, oggi conterebbe su una performance media annuale del -4.8%; virtualmente nulla (+0.4%) se allargassimo l’indagine ai passati dieci anni. Ma a quanto pare, basta un rendimento nominale superiore al 4% per far tornare il sorriso a molti investitori.
Gaetano Evangelista - www.ageitalia.net