Fino a qualche mese fa in Europa First Republic era semiconosciuta, una delle tante banche regionali USA che per business e territorio ci interessano poco.
Eppure dopo Silicon Valley Bank queste banche sono diventate il potenziale epicentro di un terremoto globale.
Come è possibile? L’Europa quanto deve temere quel che succede negli States?
Domande d’oro e risposte di carbone. Infatti ai corsi attuali l’Euro Stoxx Banks perde già un 13,3% dai massimi di inizio marzo, meno del 24,35% dei momenti di massima paura sul credito, ma una doppia cifra che non lascia spazio a dubbi.
Quello che succede non è un problema regionale.
First Capital, la cupa matematica di un business in frantumi
Lunedì sera First Republic ha pubblicato una brutta trimestrale: ricavi -13,4% a 1,2 miliardi di dollari, un margine di interesse segato del 19,4% a 923 milioni, un utile in calo di un terzo a 269 milioni.
A conti fatti la banca ha perduto circa 100 miliardi di depositi.
A fine dicembre erano 176,4 miliardi, a fine marzo 104,5 miliardi di dollari. Saldo: -40,8% E dentro ci sono 30 miliardi di depositi a tempo forniti in soccorso dalle megabanche di Wall Street come JP Morgan.
Se li togliamo, arriviamo a 100 miliardi di dollari di depositi persi, se non è questa una corsa allo sportello…
C’è puoi l’allarme redditività. A marzo First Republic ha preso liquidità dalla Fed e da JP Morgan; prestiti della FHLB (Federal Home Loan Banks) che sostiene le banche regionali in crisi.
Gli interessi pagati sui finanziamenti di FED ed FHLB sono stati in media tra il 3% e il 4,9%.
Il tasso medio sui finanziamenti sarebbe del 4,33% Ma First Republic ha un rendimento medio del 3,73% sui prestiti. Sorge un problema di redditività. A fine 2022 il margine di interesse era del 2,45%, ora è crollato all’1,77% e secondo alcuni analisti entro la fine dell’anno sarà a zero!
Così partono i tagli per tenere in piedi la baracca.
Circa il 20-25% del personale già in questo trimestre. Con circa 7.200 persone a fine 2022, significa circa 1800 dipendenti. È un disastro sociale, ma anche un problema industriale.
First Republic ha infatti costruito il business sul rapporto diretto, sui servizi su misura offerti ai suoi ricchi clienti.
Se taglia un quarto del personale potrà ancora farlo?
Senza considerare perdite non realizzate, mutui jumbo siglati con i tassi a zero, il cambiamento di contesto. I ricchi imprenditori prima della stretta della Fed sui tassi depositavano volentieri in First Republic accettando servizi personalizzati in cambio rendimenti a zero, ma con il rialzo del costo del denaro e dei tassi, il discorso cambia.
Montagne di soldi senza alcun rendimento mentre l’inflazione cavalca spingono inevitabilmente a cercare altre soluzioni.
Wall Street non c’è andata con i guanti: il titolo di First Republic valeva più di 140 dollari a inizio marzo e ora è scivolato sotto i 7 dollari.
First Republic, caso isolato o punta dell’iceberg?
Ma se il modello di business di First Republic va ko con il rialzo dei tassi, viene naturale chiedersi se non ci siano molte altre banche regionali nella stessa situazione.
Così l’attenzione si è allargata alle varie Zions Bank, Western Alliance Bancorporation, Truist, Citizens Financial Group, Fifth Third Bank, Comerica.
Anche altre, come Zions e Comerica, hanno registrato dei cali nei depositi nel trimestre, ma più ridotti.
Inoltre altre banche regionali hanno registrato utili in crescita nel periodo. Generalmente la fuga dei depositi sembra essersi attenuata, ma il mercato sta alla finestra.
Con questi tassi molti imprenditori cercano depositi più remunerativi per contrastare almeno in parte l’inflazione.
E’ un tema ancor più generale che investe tutta l’industria globale del credito. Se i tassi salgono tanto, è automatico cercare formule che rendano almeno un po’ redditizie le somme depositate.
Con il rischio che i business basati sui tassi a zero finiscano ko, come First Republic, che ora dovrà lottare duramente per sopravvivere e reinventarsi da cima a fondo.
Banche Usa: ma il problema è ancora più grande
Il quadro però va allargato ancora di più.
Le banche regionali statunitensi sono infatti un pilastro dell’economia reale a stelle e strisce.
Secondo Goldman Sachs, coprono circa la metà del credito di commercio e industria, l’80% dei finanziamenti su immobili commerciali e il 45% del credito al consumo Usa.
Se vanno giù o tagliano i finanziamenti (molto probabile che accada), l’impatto sul Pil degli Stati Uniti sembra inevitabile. L’annunciata e temuta recessione potrebbe insomma passare da lì.
A conti fatti forse è semplicemente la materializzazione della stretta monetaria della Fed, del rialzo dei tassi e quindi del prosciugamento dei fiumi di denaro pompati da anni sul mercato.
Di certo però non sembra una manovra indolore.