CAPITOLO 10 - EFFICIENZA DEBOLE DEL MERCATO ITALIANO

10.2 Verifiche indirette dell'efficienza debole

     L'ipotesi di efficienza debole del mercato è stata tradizionalmente verificata in modo indiretto attraverso l'analisi di autocorrelazione e, al più, tramite l'analisi spettrale.
Così è stato in effetti anche per il mercato azionario italiano; in una ricerca 1, per la verità relativamente recente, si è applicato infatti un test di correlazione ed un test dei segni (run test ) ad un campione costruito casualmente e costituito da trenta titoli della borsa di Milano, per un periodo di cinque anni (dal 1978 al 1983).

     L'analisi della correlazione 2 evidenzia molto chiaramente, anche con diversi parametri di ritardo temporale, risultati che si distaccano piuttosto nettamente dall'ipotesi di efficienza, soprattutto considerando una certa riduzione dell'intervallo temporale di riferimento (passando ad esempio da dati mensili a dati giornalieri); lo stesso si verifica anche per il numero di titoli per i quali non può essere rifiutata l'ipotesi che il vero valore del coefficiente di correlazione sia zero.
Inoltre da un confronto effettuato con ricerche analoghe per gli Stati Uniti ed altri paesi europei, emerge chiaramente la minore efficienza della borsa italiana.

     Lo stesso campione di titoli azionari è stato studiato anche con il test dei segni.
Per i quattro intervalli temporali considerati (giornaliero, settimanale, quindicinale, mensile) si sono calcolati i numeri dei runs effettivi, quelli attesi e lo scarto; una relazione positiva tra variazioni di prezzo dovrebbe essere verificata da lunghe sequenze di segni identici (quindi meno runs di quelli attesi), una correlazione negativa da molte sequenze brevi (più runs di quanto siano attesi).
Anche con questo tipo di verifica appaiono risultati meno coerenti con l'ipotesi di efficienza per gli intervalli brevi; per l'intervallo mensile si registrano addirittura discordanze, con un test di autocorrelazione che suggerisce una dipendenza positiva ed il run test che determina al contrario un legame negativo.
Ancora una volta, tuttavia, il distacco tra verifica effettuata sul mercato americano e quello italiano appare sensibile, con differenze delle sequenze rispetto al numero atteso di runs che risultano più elevati per l'Italia.

     Secondo questa ricerca si potrebbe dunque trarre la conclusione che per il nostro mercato di Borsa l'utilizzo di tecniche atte a studiare le sequenze delle variazioni dei prezzi giornalieri può non essere un esercizio inutile; questo è vero soprattutto per le variazioni dei corsi giornalieri, che non si aggiustano con rapidità agli input informativi.

     Risultati parzialmente diversi sono presentati in un'altra verifica 3 empirica indiretta che utilizza ancora un test di autocorrelazione e autocorrelazione parziale nei prezzi a rilevazione giornaliera e mensile, considerando diversi lag temporali; in questo caso viene analizzato un indice di mercato (l'indice Comit) e non singoli titoli azionari, ed inoltre il periodo campione risulta essere più esteso (1975-1987).
La dipendenza lineare riscontrata è giudicata generalmente insufficiente per essere sfruttata dal punto di vista economico e non si notano divergenze sistematiche tra correlazione su dati mensili e su dati giornalieri.

     Peraltro, in una ricerca successiva 4 , lo stesso autore propone delle conclusioni che sembrano essere meno risolute; sebbene l'evoluzione di un correlogramma dell'indice Mib dal 1975 al 1990 sia giudicata largamente imprevedibile, risultano individuabili periodi contrassegnati da nervosismo e volatilità particolarmente accentuata delle quotazioni.
Verga ammette la possibilità che esista un certo grado di dipendenza utile nell'elaborazione di informazioni valide per il futuro, soprattutto tenendo presente che certi movimenti di prezzo riflettono fenomeni, anche di carattere psicologico, che tendono sempre a determinare gli stessi movimenti nei corsi (è evidente il riferimento all'analisi tecnica); l'ipotesi di efficienza sarebbe ugualmente valida però poiché queste previsioni non sarebbero in grado di generare sistematicamente extraprofitti al netto dei costi di transazione.


1 Caparrelli F., Una verifica empirica dell'ipotesi di efficienza debole del mercato di borsa, in Il Risparmio (1986).
2 Ad esempio il titolo Generali evidenzia una correlazione su dati giornalieri pari a -0.4338, il che significa che il 19% della variabilità dei prezzi è spiegata dal modello lineare. Per Mediobanca si arriva ad una correlazione di -0.4189, che implica varianza spiegata pari al 17.5%.
3 Verga G., The Italian Stock Market: Efficiency and Price Formation, in The NATO Advanced Research Workshop on "A reappraisal of the efficiency of financial markets" a cura di Guimares R.M.C., Kingsman B.J., Taylor S.J. (1989).
4 Verga G., Il mercato azionario tra fondamentali e bolle speculative, Laboratorio di Analisi Monetaria n. 2 (1994).