Sta per iniziare un’altra settimana piuttosto intensa per i mercati finanziari. Mercoledì è la giornata della FED, giornata in cui gli operatori vorranno avere maggiori dettagli sulle future mosse della Banca Centrale Americana anche alla luce dei recenti dati macro ma anche dell’andamento al rialzo del prezzo del petrolio, che, mentre scrivo sta scambiando oltre i 91 USD al barile.
Presagire quali saranno le future mosse della FED non è un lavoro facile e probabilmente non lo è neppure per i membri del FOMC chiamati a votare e ad esprimere le loro view nei c.d. Dot Plot.
Attualmente il mercato sta sposando uno scenario di “Higher for Longer” caratterizzato da un’economia ancora piuttosto tonica e da una FED ferma nel processo di tightening che vede un altro probabile rialzo alla riunione di novembre seguito eventualmente da tagli nel 2024. Tali tagli, secondo le proiezioni di giugno, dovrebbero ammontare a 100 bp e si dovrebbero verificare nella seconda parte del 2024.
Ma questo scenario, confermato dal pricing degli SWAP sui tassi, ormai totalmente allineati alle proiezioni della FED, potrebbe essere messo in discussione da due fattori, tra loro contrastanti: un rallentamento macro superiore alle attese, un impennata dell’inflazione.
I rischi che l’economia USA possa rallentare ci sono. Man mano che passa il tempo, il potere erosivo sugli utili aziendali e sul potere d’acquisto delle famiglie dei tassi dei prestiti più elevati si fa sempre più sentire. Se a questo aggiungiamo un ulteriore erosione dei margini aziendali e del potere d’acquisto delle famiglie derivante dall’aumento dei costi dell’energia, le probabilità di un rallentamento macro aumentano ulteriormente.
E allora, nel mercato delle opzioni sui SOFR (Secured Overnight Financing Rate) c’è già chi scommette su marcati tagli dei tassi da parte della FED nel periodo compreso tra marzo e giugno del 2024. Nella seduta di venerdi sono stati acquistati premi in opzioni per 10 milioni di USD. Tali opzioni diventano profittevoli in presenza di tagli superiori ai 200 bp.
Qualora dovesse confermarsi tale scenario, potremmo assistere ad un progressivo steepening della curva USA. I tassi a breve scenderebbero di più di quelli a lunga, in un contesto di progressivo calo di tutti i rendimenti della curva USA a beneficio del comparto azionario.
In tale contesto, i titoli growth, soprattutto quelli tech, finirebbero per beneficiare del calo dei tassi e continuerebbero a sovra performare i titoli c.d. value, per loro natura maggiormente esposti all’andamento del ciclo macro.
Ma l’equazione da risolvere non è così semplice. Essa si sta complicando con le tensioni sul mercato del petrolio che continuano a spingere al rialzo il prezzo del greggio rendendo gli operatori sempre più nervosi sul tema inflazione.
La domanda che in molti si iniziano a porre è la seguente: cosa farà la FED in presenza di uno scenario di stagflazione, caratterizzato da crescita in calo e da un’inflazione ancora piuttosto Sticky a causa delle pressioni sui prezzi energetici?
Tale scenario sarebbe negativo per tutte le asset class. Il comparto dei bond difficilmente riuscirebbe a scontare una FED più accomodante. I tassi a breve rimarrebbero a livelli elevati cosi come quelli a lunga. Ed il movimento al rialzo dei tassi nella parte a lunga della curva a cui abbiamo assistito la scorsa settimana depone per questo scenario.
Quindi, mentre fino a qualche settimana fa le componenti dell’equazione erano solo due: tassi e crescita, ora non si può “navigare” nei mercati senza monitorare costantemente l’andamento del prezzo del petrolio. Ulteriori movimenti al rialzo potrebbero mettere a dura prova la tenuta dei mercati perché’ spingerebbero gli operatori a scontare uno scenario di tassi elevati a lunga probabilmente associato ad un rallentamento della crescita. E’ si perché’ questa forza del petrolio non è “demand driven” ma e’ “supply driven”. Ne consegue che prezzi elevati del prezzo del petrolio possono ancora coesistere con scenari di rallentamento macro associati a tassi di interesse elevati, necessariamente ancora elevati, per fronteggiare un’inflazione ancora sticky.
Questo scenario, caratterizzato da un rallentamento macro, elevati prezzi dell’energia e tassi elevati, si rivelerebbe negativo per le borse, metterebbe pressione sia ai titoli value (maggiormente esposti al ciclo macro) sia ai titoli tech, (maggiormente esposti ai rialzi dei tassi) e aggiungerebbe pressione anche al comparto obbligazionario in cui chi ha scommesso su tagli dei tassi importanti nel 2024 potrebbe dover rivedere (nuovamente) la propria view.
Quindi, in sintesi, per le decisioni operative di tipo direzionale diventa indispensabile seguire l’andamento del prezzo del petrolio. E’ lui il driver.
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