Emerging market debt

Paolo Belvederesi Paolo Belvederesi - 06/11/2023 20:27

Emerging market debt

 

“The Fed is done”. Sembra sia questa la frase più pronunciata nelle sale operative. Dopo la pubblicazione del dato sulla disoccupazione USA, che ha visto un marcato rallentamento del numero di assunzioni, un calo delle ore medie lavorate settimanali, una stabilizzazione degli aumenti salariali ed un aumento (veramente marginale) del tasso di disoccupazione al 3.9%, il mercato ha deciso che la FED non alzerà più i tassi.

E questa view è stata condivisa un po’ da tutti, dagli specialist del mercato azionario, da quelli del mercato obbligazionario fino a comprendere il mondo delle currencies. Gli indici hanno rimbalzato, i bond sono saliti portando il rendimento implicito del decennale USA a raggiungere velocemente il livello del 4.5% ed il dollaro è sceso.

 

Ma allora viene spontanea una domanda: e i paesi emergenti? Sarà mica giunto il momento di acquistarli?

Eh sì, perché’ se il mercato inizia a scontare una FED meno restrittiva e nota un rallentamento delle pressioni inflazionistiche in USA, e se il dollaro si deprezza e se i rendimenti dei treasuries sono in progressivo calo, allora le divise emergenti ed i rispettivi bond diventano più interessanti.

Si. Giusto.

Ma tutti? NO.

 

La scelta deve basarsi anche su quale politica monetaria stanno attuando le relative banche centrali dei paesi emergenti. Se anch’esse hanno già smesso il processo di tightening o stanno addirittura già tagliando i tassi, allora il loro appealing diminuisce. Al contrario, le divise degli stati in cui le banche centrali rimangono ferme nel processo di tightening potrebbero diventare interessanti.

Tra queste citiamo molte delle divise Asiatiche. La Rupia Indonesiana, il Peso delle Phlippine, il Thai baht sono le divise preferite. Le banche centrali di questi paesi hanno riserve valutarie molto robuste ed in grado di difendere in modo molto forte le proprie divise.

Da venerdi si e’ gia’ assistito ad un rimbalzo delle currencies asiatiche contro USD ed esso sta continuando questa mattina. 

Nel mercato delle opzioni si sta assistendo ad una progressiva chiusura delle posizioni di risk reversal il che denota una minore bearishness degli operatori su determinate currencies. Tra queste spiccano le divise di Hong Kong e Cina, la Rupia Indiana e il dollaro di Taiwan.

 

Al contrario, il mercato rimane ancora un po’ “freddo” per non dire bearish sulle altre divise emergenti, dal Rand Sudafricano, al Peso Messicano fino a comprendere il Real Brasiliano su cui in molti sono cauti a causa delle politiche accomodanti della Banca Centrale.

 

E questo nonostante i rendimenti reali siano positivi.

 

Nella lista di currencies che ho appena citato c’e’ la lira Turca, vista ancora al penultimo posto nella classifica di bearishness.

“eppure rende un sacco” direbbe il Giargiana focalizzando la sua attenzione sul rendimento offerto dai bond Turchi e trascurando totalmente il rischio currencies, che non e’ affatto indifferente ed il fatto che l’inflazione sia a livelli stellari.

Ma allora questa mattina la domanda ce la poniamo. Per una volta il “giargiana” avrà ragione? Dobbiamo acquistare i bond Turchi in divisa locale?

 

Nel corso degli ultimi anni possiamo dire che quasi più nessuno ha investito in bond Turchi se non i “locals”, la popolazione Turca e le Banche Turche. Gli investimenti degli investitori esteri ammontano al momento a 1 miliardo di USD, il nulla se raffrontato ai 70 miliardi di USD investiti nel 2013.

 

Eppure c’è chi scommette che la Lira Turca, o meglio i bond denominati nella rispettiva divisa siano l’investimento del 2024. Questo ad una condizione: i tassi devono salire ancora e la currencies deve scendere ancora, allora ne varrà la pena. Attualmente i tassi in Turchia sono al 35%. “tantissimo” direbbe il Giargiana. Tantissimo, si, ma con un inflazione ancora a livelli stellari: 61% l’ultima rilevazione. Ne deriva che i rendimenti reali sono ancora negativi, molto negativi. Sulla parte a lunga della curva i rendimenti reali sono a meno 30% circa.

Ma quanto devono salire ancora i tassi e quanto deve scendere ancora la Lira Turca per rendere la Turchia “investable”. Per Sergei Strigo di Amundi, le condizioni per rendere la Turchia interessante sono tre: tassi di riferimento tra il 40% ed il 45%, cambio USD/TRY a 30-33 contro gli attuali 28.40 ed una stabilizzazione dell’inflazione.

 

Effettivamente, con i tassi al 45% si avrebbe una performance sul trimestre dell’11.25%. Nel corso degli ultimi 3 mesi la divisa si e’ deprezzata del 5.3%. questo lascerebbe un altro 6% di rendimento di cui potere beneficiare. 

Se analizziamo questa relazione tra rendimento e possibile movimento della currency nei prossimi mesi notiamo che il cambio è visto dai più a 34 contro USD ad un anno. Esso implica una perdita su cambio ad un anno di circa il 21%.

In sintesi, investendo il Lira Turca al 45% si ottiene un rendimento al netto del rischio cambio del 24%. A quel punto ne può valere la pena.

 

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