I mercati tornano ai livelli del 2 aprile, data del "Liberation Day" proclamato da Trump
Dopo la paura i mercati finanziari sono tornati ai livelli registrati il 2 aprile, giorno in cui l’ex presidente Donald Trump aveva annunciato il cosiddetto "Liberation Day". Se Trump pensava di poter "liberare" l’America ignorando l’andamento di Wall Street, ha evidentemente fatto male i conti.
La prima regola non scritta della politica economica è chiara: non toccare i risparmi degli elettori. La seconda? Mai dimenticare la prima.
Trump aveva promesso 90 accordi commerciali in 90 giorni, immaginando che i Paesi esteri avrebbero fatto la fila per trattare con lui. La realtà si è rivelata ben diversa: al momento, 12 Stati americani hanno fatto causa alla sua amministrazione. Sull’esempio della California si sono mossi altri nove Stati a guida democratica, insieme a Nevada e Vermont, governati da repubblicani. Il nodo della questione è la legittimità del potere presidenziale nell’imporre tariffe: secondo i ricorrenti, la competenza spetta al Congresso. La Corte per il commercio internazionale degli Stati Uniti sarà chiamata a esprimersi a breve.
Nel frattempo, Trump ha dovuto rivedere la sua linea rigida, optando per una maggiore flessibilità. Dei 34 Paesi ricevuti finora alla Casa Bianca, solo uno ha un peso commerciale significativo: il Giappone. Tuttavia, l’incontro con il rappresentante giapponese Ryosei Akazawa non è andato secondo le aspettative. Akazawa ha parlato di un confronto che si auspicava più tecnico e concreto, mentre Trump si è limitato a definirlo “un grande onore”, parlando genericamente di "grandi progressi". Ironia della sorte, nello stesso periodo il Giappone ha venduto 20 miliardi di dollari in titoli di Stato americani.
In questo contesto, è difficile attribuire responsabilità al presidente della Federal Reserve. Con tassi di interesse stabili e tra i più alti a livello globale, la Fed ha le carte in regola per attrarre capitali e margini per gestire eventuali disastri causati dalla politica improvvisata da Tycoon. Anche su questo fronte Trump ha dovuto fare marcia indietro: Jerome Powell resterà alla guida della Banca Centrale fino alla fine del suo mandato, previsto per il prossimo anno.
La Cina punta a dominare il settore dell’intelligenza artificiale entro il 2030
La Cina si prepara a diventare il leader globale nel campo dell’intelligenza artificiale (IA) entro il 2030, grazie a massicci investimenti da parte del governo, stimati in miliardi di dollari, anche se mancano cifre ufficiali precise. Al centro di questo slancio ci sono tre grandi metropoli: Pechino, Shanghai e Shenzhen, ciascuna con un ruolo specifico nello sviluppo dell’IA. Pechino si distingue per la ricerca di base, Shanghai per le applicazioni più avanzate e Shenzhen per l’innovazione nella produzione intelligente.
Queste città godono di un accesso privilegiato a vasti mercati e a un’ampia gamma di settori industriali, posizionandosi come protagoniste del boom dell’intelligenza artificiale, in forte accelerazione a partire dal 2020. Tra il 2018 e il 2022, il settore cinese dell’IA ha mantenuto un ritmo di crescita annuale superiore al 10%. Secondo i dati della China Academy of Information and Communications Technology (CIACT), nel 2022 il valore aggiunto dell’industria dell’IA ha raggiunto i 508 miliardi di yuan (circa 75 miliardi di dollari), segnando un incremento del 18% rispetto all’anno precedente.
Questa espansione è in linea con gli obiettivi del 14° piano quinquennale (2021-2025), che mira a far sì che l’economia dei dati contribuisca al 10% del PIL nazionale. L’intelligenza artificiale viene indicata come uno dei pilastri strategici per il futuro sviluppo economico del Paese. Le proiezioni parlano chiaro: entro il 2035, l’industria dell’IA in Cina potrebbe toccare un valore di 1,73 trilioni di yuan (circa 257 miliardi di dollari), rappresentando il 30,6% del mercato globale.
Curiosità:
Trump e il soprannome "Tycoon": un nome ricco di contrasti
Donald Trump è spesso chiamato "Tycoon", un soprannome che ben si adatta alla sua immagine pubblica di imprenditore potente.
Tuttavia, ciò che rende interessante questo appellativo è il contrasto tra il suo significato attuale e la sua etimologia.
Nel linguaggio inglese moderno, "Tycoon" indica infatti un magnate dell’industria o della finanza, una persona che si è costruita da sola ed è arrivata ai vertici del potere economico. Un ritratto che calza perfettamente a Trump. Ma le radici del termine raccontano un’altra storia, legata proprio a due Paesi con cui Trump ha spesso avuto rapporti controversi: la Cina e il Giappone.
La parola "Tycoon" deriva dal giapponese Taikun, un antico titolo onorifico adottato per indicare un sovrano indipendente, senza legami con una dinastia imperiale. A sua volta, il termine giapponese trae origine dal cinese, dove “tai” significa “grande” e “jun” (trascritto anche come “chun”) significa “signore” o “imperatore”. Unendo i due elementi si otteneva "taijun" o "tachun", un appellativo riservato a governanti autonomi ma non di sangue reale.
Nel corso del tempo, gli inglesi ripresero il termine giapponese e lo adattarono nella forma "Tycoon", attribuendogli un nuovo significato: non più quello di un sovrano, ma di una figura dotata di grande potere e influenza, soprattutto in ambito economico.
Così, il soprannome di Trump riflette non solo il suo ruolo nell’immaginario americano come magnate di successo, ma riecheggia anche, in modo quasi ironico, un titolo che un tempo apparteneva a sovrani senza corona. E in fondo, è proprio così che Trump si vede: un imperatore nato dall’industria e dalla finanza.
LA SETTIMANA IN BORSA
Settimana di Borsa: Ritorno dell’Appetito per il Rischio trainato dai Tech e dalle Mosse di Trump
La settimana appena conclusa sui mercati finanziari ha segnato un deciso ritorno dell’appetito per il rischio, con gli indici azionari in forte rialzo, trainati in particolare dai titoli tecnologici. A sostenere il comparto è stato soprattutto il colosso Google, che ha riportato risultati trimestrali migliori delle attese: i ricavi pubblicitari sono cresciuti del 9,8% su base annua. In aggiunta, l’annuncio di un maxi-investimento da 75 miliardi di dollari nell’intelligenza artificiale previsto per il 2025 ha rafforzato ulteriormente la fiducia degli investitori.
Performance settimanale degli indici europei:
- DAX (Germania): +4,87%
- CAC 40 (Francia): +3,44%
- FTSE MIB (Italia): +3,80%
- FTSE 100 (Regno Unito): +1,69%
Trump apre alla Cina: possibile svolta sui dazi
Durante la settimana, il Presidente americano Donald Trump ha lasciato intendere la volontà di riaprire il dialogo commerciale con la Cina, manifestando la disponibilità a rivedere in modo sostanziale l’attuale impianto tariffario. La mossa nasce anche dalla crescente consapevolezza che le contromisure cinesi stanno generando impatti più negativi del previsto sull’economia americana, soprattutto per la dipendenza da componenti e materie prime cinesi – come le terre rare – difficilmente sostituibili nel breve periodo. Al contrario, i prodotti finiti americani risultano facilmente rimpiazzabili per i consumatori asiatici.
Queste indiscrezioni hanno favorito un rally sui mercati azionari globali, alimentato dai rumors in attesa di conferme ufficiali:
- S&P 500: +4,59%
- Nasdaq: +6,43%
- MSCI World: +4,16%
Powell più morbido: possibile taglio dei tassi in vista
Sul fronte della politica monetaria, si è registrato un allentamento delle tensioni tra Trump e il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell. Sebbene l’idea di sostituire Powell prima della fine del suo mandato (prevista il prossimo anno) appaia politicamente e istituzionalmente complessa, l’ipotesi stessa ha alimentato incertezza nei mercati. Tuttavia, l'attuale clima di distensione sembra aver portato Powell ad assumere una posizione più accomodante, lasciando intravedere la possibilità di un taglio dei tassi già alla prossima riunione. Come spesso accade in finanza, gli operatori preferiscono “comprare i rumors” piuttosto che aspettare la conferma ufficiale
Analisi tecnica: rimbalzo o inizio di una nuova fase?
Nonostante i forti rialzi settimanali, i principali indici americani restano tecnicamente in una fase ribassista. Il recente movimento potrebbe quindi configurarsi come un semplice rimbalzo all’interno di un bear market. Tuttavia, ogni ripartenza inizia proprio con un primo passo, ed è fondamentale osservare l’evoluzione delle prossime sedute. La volatilità resta elevata, anche perché Trump potrebbe tornare a una linea più dura nei confronti della Cina, utilizzando la strategia della pressione psicologica in vista del prossimo incontro con la delegazione cinese. La Cina, dal canto suo, sembra avere attualmente il vantaggio strategico, dimostrando maggiore determinazione di quanto lo stesso Trump si aspettasse.
Prospettive per la settimana entrante
Il rally della scorsa settimana non garantisce un proseguimento lineare del trend positivo. È fisiologico attendersi giornate di prese di profitto. L'importante sarà che i cali non annullino i progressi fatti. Due elementi saranno cruciali da monitorare:
- Le mosse di Trump: sarà fondamentale che non ecceda nei toni o nelle azioni, anche alla luce di un possibile calo di consensi nel suo elettorato.
- La tenuta dei tecnologici: i mercati si aspettano che le aziende del settore continuino a generare utili solidi e ad annunciare investimenti significativi, mantenendo così un clima di fiducia nonostante l’incertezza politica.
Michele Clementi