Negli Stati Uniti la perdita dei 2740 punti sullo S&P500 è stato un autentico game changer, ma non possiamo certo pretendere che tutti siano a conoscenza della rilevanza strategica di certe soglie tecniche.
Sta per chiudersi un mese che ha prodotto sconvolgimenti tecnici nei listini azionari, probabilmente non del tutto compresi appieno dalla totalità degli investitori. In attesa che domani sera il nostro modello di asset allocation fornisca un definitivo responso circa l'esposizione più appropriata per il mese di novembre, non possiamo fare a meno di rilevare i primi danni arrecati ai portafogli degli operatori professionali.
Per gli hedge fund specializzati in approccio quantitativo, con una performance del -5% questo sarà il terzo peggior mese dal 2007: tutti vendono, perché questa è la prescrizione unanime del modello, ma la porta d'uscita è troppo stretta, cagionando colli di bottiglia che obbligano i gestori a calcare la mano sui realizzi. Il canonico portafoglio 60/40, vincente in questo bull market grazie alla correlazione negativa fra mercati azionari e mercati obbligazionari - sicché un declino dei listini ha finito per produrre effetti trascurabili, grazie al simultaneo calo dei rendimenti obbligazionari - cede quasi il 9% dal massimo di fine settembre: è il drawdown più consistente dall'inizio del 2009. Non a caso.
Negli Stati Uniti la perdita dei 2740 punti sullo S&P500 è stato un autentico game changer, ma non possiamo certo pretendere che tutti siano a conoscenza della rilevanza strategica di certe soglie tecniche. Ieri l'indice americano ha chiuso lo stretto necessario per evitare l'inaugurazione di un contesto formalmente correttivo, avendo ceduto quasi il 10% dai massimi; e sappiamo sin troppo bene come la soglia compresa fra 2590 e 2620 punti costituisca l'ultimo spartiacque prima di nuovi minimi (perlomeno) annuali, inferiori a quelli tumultuosi di inizio febbraio. Aggiorneremo nei prossimi rapporti gli obiettivi di Wall Street in caso di cedimento di questo supporto.
Al contempo, però, le società del FANG, determinanti nel bene e nel male in questo 2018, si stanno sbriciolando una ad una: diverse hanno già da tempo inaugurato un formale bear market per violazione del long stop mensile, zavorrando adesso l'intero listino. Tutti compravano prima per un solo motivo: comprano tutti. Adesso le vendite si susseguono per la medesima ragione: replicare il benchmark.
In Europa nel frattempo rischia di consumarsi una rottura decisiva: quella della neckline del testa e spalle formatosi nell'ultimo anno e mezzo. All'apparenza, trattasi del medesimo pattern visto nel 2007.
Gaetano Evangelista
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