Ormai non si tratta più di gestire una crisi italiana che, paradossalmente, era diventata qualcosa al limite del cliché.
Il debito italiano è diventato, nel corso degli anni, quasi una figura retorica, qualcosa che, insieme alla pizza, identificava lo Stivale in giro per il mondo. Ma allo stesso tempo era qualcosa anche di “comodo” visto che i burocrati europei lo conoscono fin troppo bene. Adesso, invece, ci si deve giostrare su orizzonti diametralmente opposti, tra pericoli e incertezze che arrivano dappertutto. Il tutto proprio quando arriva la notizia di una ripresa dei colloqui tra Usa e Cina e di un ritorno all'ottimismo, dall'Europa si sente la deflagrazione del sistema Francia. Un colpo che si somma al caos Brexit. Tutti terreni inesplorati. A differenza della vecchia, cara politica economica italiana.
Francia
Giorni di protesta dei cosiddetti gilet gialli hanno costretto il presidente francese Emmanuel Macron a comparire in tv e a concedere misure che potrebbero di fatto distruggere le finanze di stato. La decisione si è resa necessaria dopo le azioni di guerriglia che hanno bloccato il paese, tanto da arrivare a compromettere il pil nazionale del quarto trimestre. Il movimento è nato inizialmente dal malessere sorto con l'aumento delle imposte sul prezzo del carburante ma strada facendo ha inglobato varie proteste, includendo anche anarchici e rappresentanti di destra.
La resa di Macron
Insomma un modo variegato, accomunato da una generale stanchezza, (ras-le-bol come la chiamano loro) rispetto all’andamento dell’economia e del mercato del lavoro.
Ma per disinnescare la crisi dei gilet gialli, Macron è stato costretto ad aumentare il salario minimo di 100 euro, detassare gli straordinari, congelare le spese bancarie, cancellare il contributo fiscale per il 70% dei pensionati. Un conto che, alla fine, a causa delle mancanze di coperture, porterà il rapporto deficit/Pil di Parigi oltre il 3%. Troppo per Bruxelles che, in attesa di dettagli sui provvedimenti, ha già annunciato che monitorerà la situazione.
Brexit
Il governo del Regno Unito rinvia il voto del Parlamento sulla Brexit previsto per martedì, un rinvio che servirà al Premier Theresa May per cercare di rinegoziare il testo che avrebbe dovuto essere votato. Non piace il fatto che l'Irlanda del Nord, di fatto, rientrerebbe all'interno della legislazione Ue, un escamotage che è nato per evitare il ritorno di una frontiera tra le due nazioni. Ma non piace nemmeno l'atteggiamento avuto dal governo May che ha cercato di edulcorare il testo, pubblicandone solo 43 pagine, così come non piace il fatto che, sempre l'esecutivo, ha evitato di diffondere il testo del parere legale dell'attorney general Geoffrey Cox secondo cui potrebbe restare nell'Unione a tempo indefinito. Da qui l'aumento del dissenso verso la May la quale, nonostante il momento delicatissimo e il rischio di sfiducia, ha deciso di iniziare a incontrare nuovamente i vertici europei per chiedere ulteriori negoziati.
Il NO dell'Europa
Purtroppo dall'Europa fanno sapere non solo che non ci sono margini di trattativa visto che il precedente trattato è stato già approvato dall'Unione, ma che gli stessi rappresentanti dell'Ue si sono già organizzati per una riunione, giovedì, per stabilire le modalità di una Brexit senza accordo. Il che significa che l'Europa mette all'angolo il Parlamento inglese costringendo i rappresentanti della Corona a prendersi ciascuno le sue responsabilità di fronte alla storia. Contemporaneamente sta aumentando il fronte di chi chiede le dimissioni della May e un secondo referendum, ma entrambe queste opzioni rischiano di peggiorare la situazione. Il 21 gennaio, infatti, Londra deve presentare la sua posizione ufficiale sulla questione: poco più di un mese che diventano anche meno se si pensa alle festività natalizie che accorciano ulteriormente i tempi.
L'allarme della BoE
In tutto questo, nei giorni scorsi il numero uno della Banca centrale inglese Mark Carney ha avvertito: la Gran Bretagna non è ancora pronta per l'addio all'Unione. Come le proiezioni confermano, infatti, le previsioi sul Pil del primo anno post Brexit danno un crollo dell'8%, una disoccupazione al 7,5% (attualmente supera di poco il 4%) e una sterlina svalutata di un quarto. Intanto, nelle scorse sedute, la moneta di sua maestà ha già dato il via ad un primo crollo che l'ha portata ai minimi da oltre 20 mesi.
Articolo a cura di R.P.
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