Il rischio di provocare all'indice danni irreparabili

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 15/02/2018 15:14

Nessuna, delle prime 25 borse al mondo, è stata al riparo dai graffi dell'Orso nelle ultime tre settimane. Certo, alcuni listini - perlopiù emergenti - hanno contenuto i danni, favoriti da un dollaro rinunciatario; allo stesso tempo diverse piazze hanno sperimentato ridimensionamenti prossimi alla doppia cifra percentuale: come il Nikkei (-10.2%), o le piazze cinesi, o il DAX. Piazza Affari denuncia una contrazione del 7.5% in termini di indice MIB. Il problema non è tanto l'entità del ribasso, ma il rischio che il medesimo possa produrre danni relativamente irreparabili.

Come si ricorderà, la versione total return dell'indice FTSE All Share della borsa italiana, ha raggiunto a gennaio un obiettivo primario: la parete superiore del canale entro cui si è mosso elegantemente negli ultimi dieci anni; coincidente oltretutto con una fitta selva di proiezioni tecniche. Cautela imporrebbe il disimpegno almeno parziale dal listino nazionale; soprattutto se fosse portato via il supporto, sempre sull'indice MIB, sollecitato ieri nell'intraday. Ciò formalmente porrebbe fine al rialzo iniziato sul finire del 2016, inaugurando una fase piuttosto incerta, che non escluderebbe nel corso dei prossimi mesi, un approdo verso il target a 20500 punti.

Obiettivamente Piazza Affari ha sperimentato, a partire dalla seconda metà di dicembre, un recupero di forza relativo sorprendente; motivato perlopiù dalla ritrovata vitalità del decisivo settore bancario. Tuttavia in prospettiva rimangono le note criticità: sul piano dell'ampiezza, si segnala il nuovo minimo dell'Advance-Decline Line; sul piano macroeconomico, come visto nel rapporto di ieri l'impulso creditizio permane in territorio negativo; sul piano comparato, il parallelo storico con il Nikkei, proposto nel 2018 Yearly Outlook, getta un'ombra fosca sull'andamento del resto dell'anno. Senza considerare che un divario di performance annuale, rispetto all'Eurostoxx50, tuttora superiore al 15%, risulta storicamente insostenibile e destinato a rientrare in prospettiva.


In questo contesto, il sentiment appare sufficientemente depresso: il Panic Index è schizzato di recente a tripla cifra, mentre il Greed Index langue su valori depressi. Ma, sui massimi degli ultimi dieci anni, questa informazione potrebbe rivelarsi dal valore soltanto relativo.

Gaetano Evangelista
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