Legittima la delusione degli investitori per l’andamento dei mercati quest’anno: il Treasury Bond da inizio anno cede quasi il 15%; e questo, coniugato con la performance del mercato azionario, definisce una perdita che supera il 10%.
E venne dunque l’atteso giorno del FOMC: il braccio operativo della Federal Reserve si accinge ad aumentare il costo ufficiale del denaro – finalmente, sospirano molti – per la prima volta dal 2018. Non c’è discussione circa la consistenza dell’incremento; il dibattito vertendo sulle dichiarazioni a margine, che tracceranno la strada verso i futuri interventi: le probabilità che ad inizio maggio il nuovo rincaro essendo da 25 ovvero 50 punti base, sono al momento esattamente 50-50, stando al mercato a termine, che propone quasi 7 interventi nel corso dell’anno.
Da quando si riunisce il FOMC, lo S&P ha conseguito una performance media del +0.27% al termine della seduta in esame: un risultato superiore al saldo medio giornaliero dal 1994. Tuttavia, la performance risulta di gran lunga superiore in occasione dei tagli del Fed Funds rate (+0.37%), rispetto alle sedute (+0.19%) che vedono aumentare il costo del denaro. Sfumature.
Resta la convinzione di un mercato destinato a proseguire sulla falsariga tracciata da alcuni giorni: il raggiungimento dei primi importanti supporti, ed un certo ipervenduto, favoriscono il recupero delle quotazioni. In Italia il Greed Index è scivolato a livelli infimi, che non si registravano dalla fine del 2020: subito prima delle elezioni americane. Ad evidenza, un sentiment così prostrato si concilia bene con la prospettiva di un recupero.
Occorre però non farsi eccessive illusioni circa durata e profondità di tale rimbalzo: resta attualissimo lo schema suggerito la settimana scorsa, a proposito del comportamento successivo al setup che abbiamo formalizzato per Piazza Affari. La capitolazione formalizzata il 7 marzo conferma la possibilità di aver raggiunto un pavimento perlomeno provvisorio.
Anche Wall Street naturalmente partecipa al recupero, con lo S&P500 che sta rispettando le proiezioni del modello previsionale proposto lo scorso 9 gennaio. Sullo sfondo rimane una legittima delusione da parte degli investitori per l’andamento dei mercati finanziari americani quest’anno: il Treasury Bond denuncia il passivo dai massimi più consistente della storia, con un calo del 31.4%, al netto delle cedole, dal massimo di marzo 2020.
Da inizio anno i titoli americani a lunga scadenza cedono quasi il 15%; e questo, coniugato con la performance non esaltante del mercato azionario, definisce per il classico (ma ormai superato) schema “60/40” una perdita che supera il 10%. Si tratta del terzo peggiore risultato trimestrale della storia, a questo punto dell’anno, dietro soltanto il Q1 2020 ed il Q4 2008.
Articolo a cura di Gaetano Evangelista
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