Il calo azionario? Necessario a combattere l'inflazione

Fabio Michettoni Fabio Michettoni - 14/06/2022 11:07

E’ oramai evidente come l’indice S&P 500 sia entrato nel territorio del mercato orso. La nefasta chiusura di inizio settimana ha confermato quest’impostazione tecnica, prestando il fianco ad ulteriori discese. Arriveranno sicuramente dei rimbalzi, anche cospicui, per la forte asimmetria del lato corto del mercato rispetto alla side rialzista, ma la struttura tecnica ormai ha ceduto, aprendo ad una tendenza ribassista di più ampio periodo.

La propensione al rischio a livello globale è stata colpita da una combinazione di timori per la ripresa dell'inflazione e dalla presunta risposta della Fed, seriamente intenzionata a combattere l'inflazione, forse con un impegno maggiore di quanto gli investitori le attribuiscano. E questo potrebbe voler significare nuove scomposte discese per l’indice S&P500.Potrebbe sembrare difficile da credere, visto che la Fed è nota per essere scivolata sul primo segnale di sofferenza del mercato, ma la banca centrale americana è da decenni che non dove affrontare un’inflazione così pervasiva.

Il rendimento del Tesoro a 2 anni, che cerca di prevedere i livelli del tasso dei fondi federali a un paio d'anni da oggi, è salito al 3,21%, toccando un nuovo massimo pluriennale e questo sta avvenendo mentre i mercati prevedono ulteriori rialzi dei tassi della Fed in futuro.

Si prevede che la Fed alzerà il tasso sui FED-funds di mezzo punto percentuale in ciascuna delle sue riunioni estive, ma ora si prevede un rialzo dei tassi anche a settembre, dopo che i verbali della banca centrale USA avevano lasciato intendere che il rallentamento della crescita economica avrebbe potuto costringere la Fed a rallentare il ritmo dei rialzi dei tassi.

L'aumento dei tassi a breve termine sta provocando una quasi inversione della curva dei rendimenti. Questo avviene quando i tassi a breve termine, a 2 anni, superano quelli a lungo termine, a 10 anni. Oggi, tutto ciò riflette il fatto che l'inflazione elevata nel breve termine costringerà la Fed a rialzare rapidamente i tassi, causando alla fine un impatto sulla domanda economica a lungo termine e un’inversione dei rendimenti dei Treasury a 2 e 10 anni, può spesso far presagire una recessione entro il prossimo anno.

Oltretutto, l'aumento dei rendimenti obbligazionari statunitensi fa salire anche il dollaro, per cui gli investitori globali tendono ad acquistare dollari quando le attività finanziarie statunitensi diventano più interessanti. Da questo punto di vista, il Dollar Index è salito dello 0,8% a poco più di 104, livello di massiim pluriennale già validato lo scorso 12 maggio.

Il mercato azionario, tuttavia, non gradisce un dollaro più forte, perché ciò significherebbe che le multinazionali statunitensi, quando traducono in dollari i loro ricavi conseguiti all'estero, incassano meno dollari.

A questo punto della storia, la speranza è che il mercato azionario possa essere vicino al suo fondo, ma di questo non v’è certezza, almeno fino a quando l'inflazione rimarrà problematicamente alta, la Fed rimarrà in modalità “rialzo dei tassi”.

Il rischio più grande, però, è che la Fed esageri e stringa la domanda e le condizioni finanziarie a tal punto da spingere l'economia statunitense in una recessione. Questo potrebbe risolvere il problema dell'inflazione, ma crearne di nuovi. Tuttavia, è possibile che il board della FED stia cercando, calibrandola, una recessione che valga la pena subire per far uscire l'economia americana dal pantano inflazionistico in cui si è infilata.

Questo è particolarmente vero se la guerra in Ucraina dovesse intensificarsi, facendo aumentare ancora i prezzi di cibo, petrolio e altre materie prime, un rischio che probabilmente, almeno per ora, non riceve abbastanza attenzione. Ma una recessione, per quanto contenuta, significherebbe un aumento della disoccupazione, una riduzione degli utili aziendali e un calo ancora più grave dei prezzi delle azioni.



Articolo a cura di Fabio Michettoni
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