Costi fondi investimento, uno studio Mediobanca distrugge chi li colloca di più in Italia

Salvatore Gaziano Salvatore Gaziano - 20/10/2021 09:42

Il motivo per cui banche e reti sconsiglino o addirittura ostacolino l’acquisto di ETF è noto e passa sotto il nome di conflitto d’interesse.
Pensavo fosse una cosa del passato ma più di un risparmiatore mi ha segnalato (e siamo nel 2021 quasi 4 anni dopo la normativa Mifid II che doveva mettere il risparmiatore al centro) che di fronte all’interesse di acquistare ETF in banca si è sentito trattato come se avesse voluto comprare del plutonio.

Se la banca colloca o consiglia un fondo o un certificato, un 2% medio all’anno minimo minimo (e vedremo fra poco anche molto di più) gli può ritornare come provvigioni dalle società emittenti o dalle società di gestione mentre se consiglia uno strumento come un ETF non gli ritorna indietro un cent e l’unico piccolo guadagno che può fare è solo sulla negoziazione (pochi euro una tantum).

Che poi gli ETF siano più pericolosi dei fondi è “una sulenne minchiata” direbbe il Commissario Montalbano perché sarebbe come dire che un chilo di farina pesa più di un chilo di piombo. Esistono ETF monetari, obbligazionari, azionari… e quindi il catalogo è così vasto (sono solo in Italia quotati 1452 ETF che contavo stanotte invece delle pecorelle per addormentarmi) che ci sono certo ETF anche rischiosi (per esempio quelli a leva) ma anche tranquillissimi e del tutto comparabili ai fondi omologhi. Anzi considerando che qualche volta il gestore “impazzisce” oltre che esagera sui costi fra un ETF e un fondo in generale se proprio dobbiamo dirla tutta la cosa più pericolosa è un ETF.

E tutte le ricerche (se non volete leggere qui quello che abbiamo scritto noi c’è qui una ricerca annuale fatta da Standard and Poor's Corporation) dimostrano che l’85% dei fondi si comporta complessivamente peggio degli ETF per via dei costi (in primis) e poi dell’inefficienza dei gestori.

Chi ci conosce sa che non siamo “talebani” e non diciamo sempre “vade retro” ai fondi, ma quando è troppo è troppo.

E vedere trattati ancora oggi (perché questo accade) i risparmiatori come se avessero l’anello al naso non dovrebbe essere possibile visto che dopo la Mifid I, abbiamo avuto anche con decorrenza 3 gennaio 2018 la Mifid II, che sulla carta è stata annunciata come “la rivoluzione che metteva al centro il risparmiatore, la trasparenza sui costi e la sua tutela” (così scrivono sui siti le stesse banche furbette).


 

Il problema è enorme e per capire che il conflitto d’interesse sia pazzesco basti un dato. Secondo il bollettino di Assoreti, l’associazione delle banche e delle imprese di investimento che prestano il servizio di consulenza in materia di investimenti e che rappresenta una quota importante di questo mercato, sapete quanto “cubano” in percentuale ETF/ETC/ETF rispetto al totale del patrimonio dei prodotti finanziari distribuiti dalle imprese aderenti? L’1%. Sì avete letto bene. Quasi quanto i certificati (che le banche sponsorizzano volentieri perché rendono quasi quanto i fondi).

La parte del leone della consulenza offerta da banche è fatta da fondi comuni e sicav (10 volte più cari mediamente degli ETF, ça va sans dir) che pesano per il 32%, gestioni patrimoniali (10,7%), prodotti assicurativi e previdenziali (27%)  fra cui soprattutto costosissime unit linked, mentre la restante parte è il risparmio amministrato dove i certificati pesano quasi quanto gli ETF perché i certificates offrono ai collocatori super provvigioni e non c’è banca che non li proponga (le stesse che magari dicono che gli ETF sono rischiosi).

Arrivati a questo punto qualcuno potrebbe pensare che la facciamo più grande di quello che è ma se leggete il recente studio scritto dall’ufficio studi di Mediobanca dove analizza le società quotate del risparmio gestito italiane (Banca Generali, Anima, Azimut, Banca Mediolanum e Fineco) potrete scoprire cose ancora più mirabolanti. E scritte non certo da sostenitori di Occupy Wall Street.

Nella LetteraSettimanale.it, la newsletter di approfondimento poco convenzionale sui mercati che ogni settimana curo, pubblico diverse tabelle interessanti: in sintesi comunque il risparmio gestito all’italiana non ne esce benissimo confermando in pieno che i costi sono anche post Mifid rimasti molto elevati e la qualità offerta spesso discutibile.

secondo questa analisi di Mediobanca, che ha fatto un lavoro veramente ciclopico prendendo di tutte queste società i fondi più collocati alla clientela, Azimut secondo questo report è la rete che colloca i fondi più cari. Tra commissioni di gestione e di performance, un cliente di Azimut può pagare fino al 6% annuo di costi. E rispetto alle altre società analizzate Azimut non ha iniziato ad abbassare i costi alla clientela come hanno iniziato a fare comunque le altre società post Mifid2 e ci si sarebbe aspettati.

Nonostante le raccomandazioni dell’Esma, l’autorità che ha tra i propri compiti quella di aumentare la tutela degli investitori, di calcolare le performance su base annuale e non mensile, nel 2020 il 25% dei fondi della società di gestione quotata ha applicato commissioni di performance sui suoi fondi, nonostante performance annuali negative per i sottoscrittori. E Azimut, secondo Mediobanca, è la società che imperturbabile continua a far pagare di più i propri clienti senza diminuire i costi negli anni, anzi. Anche Banca Generali nel 2020 sul 15% dei fondi sottoscritti dai suoi clienti ha incassato commissioni di performance anche quando i clienti avevano subito un risultato negativo nel corso dell’anno. Questo è stato possibile grazie al calcolo mensile anziché annuale delle commissioni di performance.

Banca Mediolanum nel 2020 non ha invece incassato commissioni di performance quando il risultato è stato negativo, essendosi già allineata alle nuove regole di calcolo indicate dall’Esma relativamente alle commissioni di incentivo mentre Fineco resta l’unica società a non applicarle anche se nel rapporto Mediobanca qualche tirata d’orecchie se la prende.

In una tabella (pubblicata su SoldiExpert.com) sono riportati i costi dei fondi obbligazionari più distribuiti da Banca Generali, Mediolanum, Fineco, Azimut e Anima. Tra spese correnti e commissioni di performance i fondi obbligazionari di Banca Generali hanno applicato nel 2020 costi totali del 2,68%, Mediolanum dell’1,38%, Fineco dell’1,95%, Azimut del 2,04% e Anima dell’1,26%.

 

Considerando la performance ottenuta da questi fondi nel 2020 si vede come nel caso di Anima i costi hanno ridotto quasi del 50% la performance del sottoscrittore, oltre il 50% quella dei clienti Fineco, mentre nel caso dei fondi di Banca Generali e di Azimut due terzi del rendimento è stato assorbito dai costi fino ad arrivare a Banca Mediolanum in cui costi hanno assorbito l’89% del rendimento potenziale per l’investitore.

Uno spaccato molto interessante che conferma le contraddizioni di un sistema basato sulle retrocessioni che alimenta un’incredibile asimmetria informativa (la maggior parte dei risparmiatori in Italia non ha nemmeno chiaro che la consulenza offerta da banche e reti ha un costo) e dove peraltro chi lavora sul fronte e colloca i prodotti (consulenti abilitati all’offerta fuori sede con le varie sempre più pittoresche denominazioni) ottiene della torta una fettina minuscola perché la maggior parte va ai piani superiori.  

Dati che meritano diverse riflessioni e le conclusioni dell’Ufficio Studi di Mediobanca sono le seguenti: “some progresses made, but further efforts needed”. Qualche progresso è stato fatto, ma occorre fare di più.
Molto di più..

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Articolo a cura di Salvatore Gaziano - SoldiExpert SCF
https://soldiexpert.com/

 

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