È stato la maglia nera delle commodity nel 2016, con un calo di circa il 30 percento; fisiologico se consideriamo che negli anni precedenti, quando tutte le materie prime scendevano, il cacao aveva inanellato massimi su massimi sino ad arrivare a 3.400 dollari la tonnellata.
Oggi ci troviamo sui minimi di cinque anni fa e anche se non possiamo escludere un ulteriore affondo delle quotazioni sino a 1.800-1.750 dollari per tonnellata ci troviamo in una situazione piuttosto interessante.
I prezzi sembrano aver trovato un supporto appena sopra i 2.000 dollari per tonnellata, lo stocastico si trova in ipervenduto ed è in procinto di segnare un incrocio rialzista, mentre il momentum si trova già da un mese in divergenza rialzista.
Le condizioni per un rialzo sono quindi mature: operativamente si dovrebbe attendere una conferma del superamento della trendline ribassista a 2.150 con obiettivi intorno ai 2.600 dollari per tonnellata; la violazione di 2.000 dollari farebbe invece ipotizzare l’affondo verso 1.750-1.800. A tal proposito è bene tenere presente che è sempre possibile un rapido movimento appena sotto 2.000 a caccia di stop con una successiva ripresa dei prezzi.
Questo secondo l’analisi tecnica classica, ma vi sono altri fattori da tenere in considerazione.
L’analisi del COT, che evidenzia le posizioni dei vari attori del mercato suddivise per categorie, presenta posizioni nette pressoché nulle per i money manager e per i commercial (gli operatori del settore), ma con un open interest sui valori massimi; segno di una forte divergenza di valutazioni anche all’interno delle stesse categorie di investitori. Solo i piccoli trader sembrano più audaci, con posizioni rialziste ingolosite dalle basse quotazioni.
Appare abbastanza intuitivo che la sorte dei prezzi è tutt’altro che segnata: gli operatori più capitalizzati non sanno che pesci pigliare, mentre i piccoli mostrano un coraggio che potrebbe essere fonte di delusione; insomma siamo di fronte a Davide contro Golia.
Per cercare di vederci più chiaro occorre, ancora una volta, indagare sui fattori fondamentali.
In Costa d’Avorio, il maggior produttore mondiale, sono riemerse le instabilità politiche che avevano caratterizzato la metà del decennio scorso, inoltre il settore di produzione e lavorazione del cacao necessita investimenti strutturali che non possono essere avviati a questi prezzi della materia prima.
La produzione di cacao del paese ha così subito già l’anno scorso un calo del 12,5 percento, mentre quella mondiale ha visto una contrazione di quasi il 6 percento, generando un deficit rispetto alla domanda di 212 mila tonnellate.
Si stanno quindi creando le condizioni per una diminuzione dell’offerta e già abbiamo le prime vittime.
Transmar Commodity Group, uno dei 10 maggiori produttori e torrefattori di cacao, ha presentato negli Stati Uniti istanza di fallimento; probabilmente il nome di questa azienda ci dirà poco, ma basti pensare che fra i clienti di questa compagnia vi sono colossi alimentari come Hershey, Mars e Nestlé.
L’insolvenza sarebbe stata aggravata da un affiliato europeo, la tedesca Euromar, che a seguito del proprio indebolimento finanziario non sarebbe stata in grado di effettuare i pagamenti alla Transmar.
Il buco di alcune centinaia di dollari graverebbe su diversi istituti finanziari e il settore del cacao ora teme una stretta creditizia che metterebbe in ginocchio l’intera filiera di produzione.
Una condizione che avrà ripercussioni per tutti gli amanti della cioccolata che dovranno presto accettare costi maggiori per la loro bevanda preferita. Ancora una volta i prezzi bassi sono i migliori dottori dei prezzi bassi.
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Fonte: www.mazzieroresearch.com
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