Calendario macro: gli eventi importanti di questa settimana

Rossana Prezioso Rossana Prezioso - 28/01/2019 11:03

Si parte con Draghi

Il 15 gennaio in un suo precedente intervento in occasione del ventesimo anniversario della nascita dell’euro, il governatore della Bce ha definito la moneta unica come un elemento ancora incompleto ma comunque in grado di “garantire fiducia e stabilità dei prezzi”. Ed è proprio sulla politica monetaria che verterà l’incontro di Draghi con la Commissione Affari economici. Per la precisione sul dialogo monetario e sulla messa a punto delle diverse strategie per l’attuazione dell'unione bancaria. Un obiettivo che investe direttamente anche l’Italia. Le recenti  misure prese per il salvataggio di banca Carige e che più di una polemica hanno creato in ambito politico, infatti, si sarebbero rese necessarie a causa “dell'incompletezza dell'architettura istituzionale dell'Unione bancaria, che discende anche dalle lacune dell'Unione monetaria". Questo è quanto è stato dichiarato dal ministro delle Politiche europee, Paolo Savona che vede nella ricapitalizzazione precauzionale pubblica, misura elencata all’interno del decreto di salvataggio, una strategia “di carattere puramente eventuale e residuale”. Riorganizzare in maniera omogenea l’Unione bancaria significherebbe quindi mettere in sicurezza l’intero settore, a sua volta cardine non solo dell’economia europea, fortemente bancocentrica, ma anche e soprattutto di quella italiana. La conferma? Arriva dallo stesso Savona che, sempre a proposito di Carige e del suo salvataggio come soluzione per una falla dell’Unione ha dichiarato che la mancanza di un fondo di tutela dei depositi non fa altro che creare “danni alla stabilità monetaria e finanziaria, alla crescita reale e all'occupazione e alla tenuta socio-politica dell'Unione”. Altro evento clou di lunedì è un discorso di Mark Carney, governatore della Bank of England, intervento che è impossibile non legare a quanto avverrà solo il giorno dopo ossia martedì 29 gennaio.

 

L’impatto della Brexit sull’economia italiana

A Londra, infatti, è prevista la votazione al Parlamento inglese, del secondo piano per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Una situazione, quella in cui si trova il governo di Theresa May e l’intera classe politica a proposito della Brexit, a dir poco caotica. Pochi, infatti, sembrano essere i punti di differenza fra il primo testo, a sua volta votato dai rappresentanti dell’Unione e da essi riconosciuto come unico valido, e la seconda bozza. Da qui le preoccupazioni di una seconda, possibile bocciatura. Aumentano perciò i timori di un’uscita dall’Ue senza accordo, opzione che, sebbene vista inizialmente come la meno probabile, risulta anche quella economicamente più dannosa per l’Italia. Il motivo? Il divorzio avviene all’interno di un quadro più ampio di rallentamento economico del Vecchio Continente. Qualora si verificasse una Hard Brexit, una delle conseguenze sarebbe l’obbligo, per gli scambi commerciali, di applicare le tariffe standard che l’Organizzazione mondiale del commercio, il Wto, precede per i dazi doganali e che si aggira intorno al 5% delle merci. La conseguenza più ovvia è quella di un aumento dei prezzi a seconda dei settori più colpiti. L’export italiano (20 miliardi secondo le rilevazioni 2017) riguarda soprattutto macchinari e veicoli di vario tipo (6 miliardi in tutto. In maniera minore, però, anche cibo, farmaceutici, mobili, vestiti. Il problema è che mentre per le prime due voci le tariffe sarebbero minime, per l’alimentare si parla di qualcosa come il 13%. In altre parole: aumento di prezzi in maniera disomogenea all’interno dei vari settori colpiti. Il tutto senza considerare i costi (non solo in termini di soldi ma anche di tempi) per via dell’aumento dei controlli doganali e delle diverse tabelle di misurazioni.

 

Fiducia dei consumatori USA: cosa significa?

Spostandosi dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti impossibile non citare il dato sulla fiducia dei consumatori di gennaio, soprattutto in considerazione non solo dell’importanza che investe il risultato nella prima economia al mondo, ma anche perché il prodotto interno lordo di questa nazione dipende per i ¾ proprio dai consumi dei privati. Non solo, ma un ottimismo evidente metterebbe a tacere le paure riguardanti l’approssimarsi di una recessione, magari aiutato  dalle conseguenze di uno shutdown che ha trovato una soluzione solo temporanea, al 36esimo giorno. Purtroppo però i timori di un calo aumentano: su un precedente dato di 128,1 il consensus si ferma a 125. Terzo appuntamento tra i più importante della settimana è quello del mercoledì. In Italia verrà resa nota la rilevazione dei dati riguardanti l’indice di fiducia dei consumatori di gennaio.

 

Consumi in Italia e in Europa

Anche in questo caso, sebbene in maniera più lieve, un consensus in calo (112,8) rispetto alla precedente rilevazione (113,1 punti). Calo che riguarda le previsioni anche per l’altro dato nazionale: la fiducia manifatturiera sempre sul primo mese dell’anno. Da un dato del 103,6 le attese parlano di un lieve calo a 103. Ma in questo caso i numeri devono a loro volta essere inquadrati in un orizzonte ben più ampio. Nel dettaglio, a dicembre, la fiducia dei consumatori era già scesa a 114,7, secondo mese di calo consecutivo. Non differente la situazione per il dato manifatturiero. L’indice complessivo di fiducia delle imprese a dicembre aveva toccato 99,8 da 101 di novembre. Un calo continuato da luglio.
 

L’indice di fiducia (sia del consumatore che manifatturiera) è un dato di primaria importanza perché riguarda le attività economiche e produttive attraverso la previsione della spesa dei consumatori ma anche attraverso la fiducia sulle imprese, maggiormente esposte all’export. Un elemento, quest’ultimo, che influisce sulla forza dell'euro e, in ultima analisi, sul potere di spesa dei consumatori stessi. Lo stesso discorso si deve fare anche per i dati PMI manifatturiero di gennaio su Spagna, Italia, Francia, Germania e di tutta l’area euro, così come per quello cinese, sempre di gennaio. Quest’ultimo, però, verrà reso noto giovedì e dovrebbe vedere un risultato sostanzialmente stabile, intorno a 49,3, sebbene in calo sul precedente di 49,4. Il vero problema, in questo caso è che il numero resterebbe al di sotto della fatidica soglia 50, ovvero quella che divide la crescita dalla recessione. E la recessione della Cina significherebbe recessione per il mondo intero. 

 

Fed: stavolta si pensa al futuro

Attraversando l’oceano, però, l’evento che attrae maggiormente la curiosità dei mercati resta sempre la conferenza stampa del governatore della Federal Reserve. Jerome Powell, infatti, dopo la burrasca creata il 19 dicembre quando, tagliando le proiezioni di crescita dell’economia Usa parlò anche di altri due rialzi sui tassi per il 2019, mercoledì potrebbe dare maggiori delucidazioni sulle strategie da adottare in ambito di politica monetaria. Infatti, come la settimana scorsa è stato per la Bce, le attese vertono sulle parole più che sui numeri (non si prevede nessuna decisione sul costo del dollaro). In altri termini su quanto si aspetta la banca centrale Usa dall’economia nazionale nei prossimi mesi. 



Salari: effetto shutdown?

Venerdì si chiuderà con i dati sull’inflazione in Europa (prevista in calo da 1,6% della precedente rilevazione a 1,4%), esame che è sotto gli occhi della Bce soprattutto in ambito di politica monetaria. Importante anche il risultato del salario orario medio dei lavoratori statunitensi, in vista delle tanto temute conseguenze dello shutdown: gli 800mila lavoratori costretti a casa senza stipendio o a lavorare comunque ma senza salario, non saranno in grado di fare acquisti. In quest’ottica assume particolare rilevanza il dato riferibile all’indice ISM manifatturiero dell’Institute for Supply Management. Per Washington, invece, le previsioni sul primo mese dell’anno sperano in un 54,3 contro un precedente 54,1. Da ricordare, infine, come accennato, che il settore manifatturiero è un termometro dell’andamento del ciclo economico.


Articolo a cura di Rossana Prezioso

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