La riunione della BCE in programma per il 7 settembre rappresenta la prossima occasione per il Consiglio Direttivo di comunicare le sue intenzioni in merito al prosieguo del programma di acquisto di asset (Asset Purchase Programme – QE).
Dopo che Mario Draghi si è astenuto dal dare indicazioni nel suo discorso di Jackson Hole, focalizzandosi invece sulla crescita globale, l’attenzione del mercato sarà estremamente alta. E’ possibile che il Consiglio Direttivo si astenga dal comunicare decisioni definitive preferendo attendere la riunione di ottobre, ma la pubblicazione dei dati circa la crescita trimestrale e delle previsioni sull’inflazione rendono tuttavia rilevante l’appuntamento di settembre.
Quali sono le aspettative del mercato in merito al QE?
Poiché l’importo di obbligazioni che possono essere acquisite attraverso il programma di acquisto diminuisce con il trascorrere del tempo e mano a mano che gli acquisti sono completati, è opinione diffusa che l’importo del QE a partire dal 2018 debba essere ridotto, avvicinandosi il limite di acquisto del 33% per ogni obbligazione. Sull’ammontare sono state formulate varie ipotesi: mediamente si prevedono tra 6 e 9 mesi di ulteriori acquisti, al ritmo di 40 miliardi di Euro all’inizio del 2018, da ridursi a 20 miliardi dopo pochi mesi. Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 dovrebbe seguire un limitato rialzo nel Tasso di Deposito, un aumento di soli 4 punti base (da -40pb) è infatti scontato per la riunione di settembre 2018.
Come potrebbe la BCE cambiare le prospettive di mercato?
Vi sono sicuramente argomentazioni a sostegno di una posizione più “hawkish”: le previsioni di crescita dell’Area Euro sono costantemente migliorate negli ultimi trimestri, l’inflazione core si sta finalmente rialzando, la “headline inflation” è ancora influenzata dagli effetti base dei prezzi energetici, ma rimane decisamente al di sopra rispetto al trend negativo del 2015.
Il tasso di disoccupazione è in discesa e dovrebbe raggiungere il livello “non-accelerating inflation” (NAIRU) già quest’anno. In aggiunta, le politiche fiscali dell’Area Euro sono più accomodanti rispetto agli anni precedenti e le condizioni finanziarie sono migliorate. Infine, perché non veicolare il messaggio che “il tempo delle misure straordinarie è finito, tenersi pronti per politiche (molto) meno accomodanti per il prossimo anno”?
Non dobbiamo tuttavia arrivare a conclusioni affrettate: esiste infatti un’altra strada. Mario Draghi potrebbe nuovamente sottolineare la mancanza di un solido rialzo nelle previsioni e nelle attese circa il livello di inflazione (il dato del 5year-5year forward inflation swap è ancora sotto il 2%, come nel 2014…), come segnale che ulteriori stimoli possono essere necessari.
La crescita dell’occupazione, per ora, non ha portato ad un rialzo dei salari, pre-condizione necessaria per un sostegno continuo nell’inflazione core. Inoltre, la BCE dovrebbe considerare tutte le conseguenze negative di una posizione aggressiva: un Euro più forte, spread più ampi nei paesi periferici e nel credito, proprio quando l’Italia dovrà affrontare un’elezione politica chiave nel periodo tra febbraio e marzo del prossimo anno. Perché quindi – diversamente da quanto sopra ipotizzato – non mandare un messaggio rassicurante, del tipo “sì, diminuiremo gli stimoli, ma molto lentamente, e siamo pronti a fare altre mosse se la situazione dovessero deteriorarsi?”
Essendo entrambi gli scenari fondati, entrambi sono possibili. Tuttavia quello che manca è l’ingrediente chiave che potrebbe spingere la bilancia in favore di una posizione aggressiva o moderata; la valutazione della BCE in merito alla dimensione del portafoglio di obbligazioni acquistabili rimanenti. Ci sono infatti diverse stime in merito a quante obbligazioni la BCE possa ancora acquistare nel 2018, tenendo in considerazione possibili colpi di scena nell’universo acquistabile e la “flessibilità” permessa per allontanarsi dal parametro “capital key”, ma nessuno davvero conosce quale sia il limite che la BCE si imporrà.
Se la BCE dovesse ritenere che l’importo delle obbligazioni ancora acquistabili sia ampio, potrebbe fare leva su una revisione dell’inflazione 2018/2019 al ribasso dovuta ad un Euro più forte come argomento a favore delle posizioni “dovish”. Quindi per un prosieguo ulteriore del piano di acquisto, forse fino alla fine del 2018, dato che l’inflazione è ancora troppo bassa.
D’altra parte se la BCE fosse preoccupata del più limitato universo obbligazionario acquistabile, fattore che indurrebbe in ogni caso il tapering, potrebbe porre l’enfasi sul miglioramento nella previsione di crescita e sottolineare come la diminuzione dell’inflazione sia “temporanea”. In altre parole, riconoscendo che il piano di acquisti ha funzionato e che la missione è compiuta, che l’inflazione si rialzerà più avanti e che quindi il QE dovrebbe chiudersi nella prima metà del 2018.
Cosa attendersi quindi il 7 settembre? Forse nessuno di questi scenari in modo netto, ma se la BCE si focalizzerà maggiormente sull’inflazione rispetto alla crescita, o viceversa, potremmo ottenere una prima indicazione di quanto il QE potrà prolungarsi e, di conseguenza, incidere sui prezzi di mercato.
Articolo a cura di Allianz Global Investors
Fonte: www.finanzaoperativa.com
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