È tempo di riflessioni, di bilanci, di impegni per il nuovo anno e di previsioni per i prossimi dodici mesi. Quest’anno gli strategist si sono attivati anzitempo e, stando a quanto riporta l’agenzia Bloomberg, mediamente la previsione di crescita per lo S&P500 sfiora il 10%.
Gli investitori si accingono a salutare questo 2020 tutto sommato prodigo di gratificazioni. Buona parte dell’anno è stata impiegata nel compensare le perdite accumulate fra febbraio e marzo: basti pensare che alla fine di ottobre, quando le indicazioni suggerivano una ripartenza imminente dei listini azionari, soltanto il 20% delle borse del G25 vantava una performance annuale positiva; ieri sera, le borse in crescita quest’anno erano ben 15, e soltanto tre – fra cui il Footsie britannico – denunciavano una perdita a doppia cifra percentuale.
È tempo di riflessioni, di bilanci, di impegni per il nuovo anno e, per quanto ci riguarda, soprattutto di previsioni per i prossimi dodici mesi. Gli uffici studi sono all’opera nel tentativo eccitante di proiettare performance, strategie ottimali e mercati da privilegiare/evitare nel 2021. Quest’anno gli strategist si sono attivati anzitempo e, stando a quanto riporta l’agenzia Bloomberg, mediamente la previsione di crescita per lo S&P500 sfiora il 10%. Si vede che il superamento prospettico della pandemia, il cambio della guardia alla Casa Bianca, la previsione di una ripresa globale, in uno con un convinto ed ampio sostegno tanto dei governi, quanto delle banche centrali; inducono gli esperti ad un certo ottimismo per le sorti degli investimenti da qui a dodici mesi.
Vedremo in che misura questo orientamento sarà condivisibile. Con il nostro Outlook annuale, l’appuntamento è fra poche settimane. Certo non si può rimanere insensibili al recente conseguimento di un nuovo massimo storico da parte del MSCI ACWI (49 borse mondiali, di cui 23 sviluppate e 26 emergenti) nella versione – si badi bene – equiponderata: in cui cioè le sorti di uno S&P500 pesano nella medesima misura fornita dall’andamento di un indice delle Filippine, per fare un esempio. Nella versione ponderata, tanto per dire, gli Stati Uniti pesando per il 58% del totale.
È un bel dilemma per gli ultimi arrivati, ben consci che quando, nel lontano 2013, lo S&P500 finalmente ebbe ragione dei massimi assoluti registrati nel 2007 (e nel 2000); quotava ancora 1575 punti: sarebbe più che raddoppiato negli anni successivi. Il break degli ultimi giorni del MSCI ACWI appare di grado inferiore, essendo il massimo precedente risalente a meno di tre anni fa; ma la rottura è nondimeno oggettivamente rimarchevole.
A proposito di rotture, resta da vedersi il comportamento delle prossime ore dello Stoxx600. Trainato dal DAX, a sua volta ad un soffio da un nuovo massimo storico; l’indice paneuropeo si è finalmente portato a ridosso dell’ultimo diaframma, situato fra 400 e 405 punti, prima del picco di inizio anno. Riusciranno i nostri euroi (nessun refuso qui) a sbaragliare le resistenze avversarie?
Articolo a cura di Gaetano Evangelista
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