Dal minimo del 12 ottobre lo S&P500 guadagna quasi il 20%. Una etichetta soltanto simbolico, quella del ritrovato bull market. Perché chi doveva comprare, l'ha già fatto a suo tempo: quando sono emerse le condizioni ideali per ritornare sul mercato.
Archiviata la querelle legata al raggiunto limite del debito federale negli Stati Uniti, gli investitori provano a rilassarsi, puntando l’attenzione sull’indice azionario più osservato al mondo. Dal minimo di ottobre, lo S&P500 a ieri sera ha guadagnato il 19.76%: un quarto di punto percentuale in meno di quanto prescritto per conseguire l’ambita palma di neonato bull market.
Naturalmente sono etichette formali, che lasciano il tempo che trovano. Otto mesi dopo il conseguimento di quel minimo, è evidente che chi credeva nella possibilità che la mitica finestra ciclica del 10-13 ottobre, anticipata a suo tempo sul Rapporto Giornaliero, potesse contenere il minimo del bear market; a quest’ora è già felicemente investito e non attende certo una convenzione simile per mettere azioni in portafoglio. Il problema casomai riguarda chi ha prestato ascolto a – per carità – più che legittime argomentazioni nel frattempo, per rimandare una decisione che ora appare di lacerante adozione.
Come per la questione della leadership ristretta, la gravità della situazione è tale soltanto per chi non ha investito in tempi non sospetti. E la difficoltà nel mutare atteggiamento sarà esasperata nel momento in cui si dovesse ripetere l’esperienza del 2020: quando sul finire dell’anno un’ampiezza di mercato contenuta lasciò finalmente spazio ad un allargamento del bull market a tutti i settori del listino.
Considerazioni analoghe emergono a livello settoriale. Perché se è vero che, delle 95 società – ben una su cinque – dello S&P500 che da maggio hanno raggiunto un nuovo massimo annuale, 23 sono tecnologiche; è altrettanto vero che 17 sono Consumer Discretionary, 16 appartengono all’Health Care e 13 sono industriali pure. E se scorgessimo le azioni in procinto di salire al livello più elevato degli ultimi dodici mesi, scopriremmo come la maggior parte di esse – 10, su 25 – appartengono appunto allo S&P Industrial. Si tratta di un plotone di cui tenere conto a livello operativo se il break dovesse concretizzarsi.
Naturalmente un mercato o un’azione non salgono perché raggiungono simili traguardi formali: che sia un apprezzamento di una cifra tonda dai minimi, o il livello più alto degli ultimi “n” mesi. Come mostrato nel rapporto di ieri, la genesi del rialzo – per molti, a sorpresa, se non fastidiosamente inspiegabile – degli ultimi sei mesi, risiede nel concepimento stagionale maturato nei mesi invernali: fra dicembre e gennaio. Una volta acquisiti quei setup, la previsione bullish è risultata tanto scontata quanto puntuale.
Di Gaetano Evangelista
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