Quell'Orso di Trump terrorizza gli investitori

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 08/04/2025 11:10

Lo S&P500 vede andare in fumo oltre 10 trilioni di dollari di capitalizzazione nel giro di 48 ore. Magra consolazione, tutte le altre borse del G10 fanno meglio dal giorno dell'inaugurazione presidenziale. Mentre ora incombono a Wall Street i supporti strutturali.

Il più grande errore quest’anno è stato quello di non prendere sul serio le dichiarazioni della vigilia di Donald Trump, con i suoi dichiarati propositi di sabotaggio dello status quo. I mercati hanno inizialmente glissato sulle misure più indigeribili, capitalizzando soltanto gli elementi positivi della piattaforma programmatica. Trump adora i dazi: farebbe pagare al resto del mondo la copertura intera della spesa federale, al posto dei contribuenti americani.
Il conto è stato pagato drammaticamente nelle ultime 48 ore. Soltanto lo S&P500 ha visto andare in fumo 5 trilioni di capitalizzazione, per un tonfo del 10% in due sedute. Solo tre i precedenti nel Dopoguerra: 19 ottobre 1987 (Lunedì Nero), 6 novembre 2008 (Global Financial Crisis) e 12 marzo 2020 (CoViD crash). In tutti i casi, ulteriori aggiustamenti di prezzo sarebbero intervenuti prima di raggiungere un fondo definitivo.

Già quattro delle prime trenta borse al mondo per capitalizzazione, sono in bear market. Lo S&P500 verosimilmente ci entrerà formalmente stasera, già preceduto da Russell 2000 e Nasdaq. Magra consolazione, a venerdì sera 7 delle altre nove borse del G10 sovraperformavano gli Stati Uniti dal giorno delle elezioni presidenziali; tutte, dal giuramento del 20 gennaio scorso.
Dal punto di vista tecnico, si paga il mancato concretizzarsi anche soltanto di una correzione nell’arco dell’intero 2024: storicamente, un fosco presagio. Senza considerare i ripetuti episodi di Titanic Syndrome e l’attivazione del December Low Indicator, qui denunciati più volte, che hanno confermato la vulnerabilità del listino.
Se stasera Wall Street chiudesse sotto i 4915 punti, a 28 mesi sarebbe stato uno dei bull market più brevi della storia: pari a meno della metà della tipica durata. Cento punti più sotto passa il long stop trimestrale, che ha contenuto tutte le correzioni sperimentate dopo il minimo del 2009.

E venerdì inizia una complicata earnings season. Le attese sono per EPS in crescita del 6% rispetto ad un anno fa, rispetto al +11% proiettato ad inizio 2025: un downgrade sufficiente? Il consenso raccolto da Bloomberg parla di crescita del GDP reale a +1.9% adesso, dal picco proiettato del 2.3%: troppo poco, mentre JP Morgan aumenta le probabilità di recessione al 60%, e Goldman Sachs ora al 45%.
Certo le buste paga prodotte a marzo sono risultate una decisa sorpresa benigna. Ma questo rende meno urgente la prospettiva di un taglio dei tassi ufficiali, ed infatti Powell venerdì sera dichiarava che la Fed non ha fretta di intervenire. Pur tuttavia, sempre stando a Goldman Sachs, l’inasprimento delle condizioni finanziarie complessive, anche soltanto nei giorni passati, comporta un impatto sul PIL americano già di mezzo punto percentuale.

Gaetano Evangelista - www.ageitalia.net

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