Quando la Fed inizierà a preoccuparsi delle proprie perdite?

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 27/10/2022 10:12

Le due principali banche centrali al mondo si apprestano ad aumentare il tasso di riferimento della politica monetaria di 75 punti base. Ma i nodi iniziano a venire al pettine: con la prospettiva di minusvalenze di bilancio che potrebbero indurre in prospettiva lo "stepping down".

I mercati ci prendono gusto, ed inanellano una nuova seduta positiva. Il setup di inversione registrato in prossimità del minimo del 13 ottobre ha compiuto egregiamente il suo lavoro, al pari della encomiabile tenuta dei supporti strutturali su cui poggia il bull market.
Come tutti sanno, la mappa previsionale suggerisce un recupero di diverse settimane; potenzialmente di non pochi mesi. Detto, questo, è difficile fornire rassicurazioni definitive in merito, e di certo non aiuta l’estensione del rimbalzo fino ad ora messo a segno: un +8% scarso, che costituisce una buona prova di orgoglio, ma non certo una novità nel panorama gramo di quest’anno.
Da gennaio, infatti, lo S&P500 ha generato ben sei rimbalzi di entità superiore al 5% dopo il massimo di inizio anno; in due occasioni (marzo, e giugno-agosto) è salito a doppia cifra percentuale, ed in una circostanza è salito di oltre il 15%, sfiorando la definizione formale di (nuovo) bull market. Occorre muoversi con cautela su questo fronte, senza lasciarsi condizionare dall’estensione del recupero.
Più interessante misurare la continuità del rimbalzo, con l’indice americano che ha inanellato una sequenza di tre sedute di fila dal saldo superiore al +1%. L’analisi quantitativa ha da dire la sua: lo facciamo nel Rapporto Giornaliero di oggi. 
Nel frattempo le attenzioni sono rivolte verso la stagione delle trimestrali americane, che entra ora nel vivo. Dall’inizio dell’anno il Price/Earnings ha subito una compressione di oltre 7 punti, in linea con il restringimento monetario in atto da parte delle banche centrali. In attesa che Powell faccia blink, l’auspicio dei Tori è che le aziende sorprendano sul fronte degli EPS.
La banca centrale americana ha fermamente ribadito la priorità della lotta alla crescita incontrollata dei prezzi al consumo, anche se il governatore ombra, temporaneamente impiegato al Wall Street Journal, l’altro giorno si è lasciato sfuggire l’espressione magica (step down) entrata ora di prepotenza nei cuori degli investitori.
Non si direbbe che l’economia freni al punto tale da impensierire Powell e soci: stando alle proiezioni della Fed di Atlanta, il PIL americano dovrebbe espandersi nel terzo trimestre del 2.9%. Anche al netto di un certo margine di errore, la recessione “tecnica” del primo trimestre dovrebbe risultare archiviata.
Ciò che in prospettiva potrebbe impensierire le autorità monetarie – USA e non solo – è il crescente solco nei bilanci delle banche centrali: con i maggiori tassi di interesse pagati alle banche per le loro riserve in eccesso, da un lato, e le crescenti minusvalenze sugli attivi in bilancio, dall’altro; che per esempio assicurano quest’anno alla Federal Reserve una perdita di una ottantina di miliardi di dollari. Un tema di cui si discuterà molto, d’ora in poi.

 

A cura di Gaetano Evangelista
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