Piazza Affari consegue un nuovo massimo storico!

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 16/02/2023 11:35

Considerando i dividendi erogati, un investimento sulla borsa italiana ha reso mediamente più dell'8 percento in ciascuno degli ultimi dieci anni. Eppure, non scorgiamo investitori intenti a festeggiare. Il condizionamento mediatico probabilmente è risultato fatale.

 

Visto che non lo fa nessun altro, celebriamo oggi il raggiungimento di un nuovo massimo storico sulla borsa italiana. L’indice MSCI Italy, nella versione "total return” che opportunamente include i dividendi corrisposti (il dividend yield a Piazza Affari risultando pari ad un non trascurabile 4.5%), ha appena eclissato il massimo assoluto del 2007.
Ci saremmo aspettati la fanfara, ma il nuovo primato è passato inosservato. Forse perché gli aspetti macro in questa stagione dominano – e sì che da quasi due anni il CESI suggerisce come le release sistematicamente battano le aspettative degli economisti... – forse perché l’orientamento di osservatori ed investitori è rivolto in tutt’altra direzione.
Sta di fatto che negli ultimi dieci anni un investimento sulla borsa italiana ha fruttato un ritorno medio composto annuo del +8.1%. Merito in buona misura della sottovalutazione conseguita nel 2012, ai tempi del draghiano Whatever It Takes. Certo sarebbe un errore altrettanto imperdonabile ignorare che oggi le condizioni fondamentali si sono ribaltate. Ma era doveroso questa celebrazione, visto che il dato è sfuggito a tutti.
L’apatia non è limitata alle nostre latitudini. Nonostante una partenza a dir poco sfavillante, negli Stati Uniti nelle ultime sei settimane gli investitori hanno ritirato la bellezza di 31 miliardi da fondi comuni ed ETF azionari. Il Wall Street Journal aggiunge che con riferimenti ai fondi domestici, si tratta del deflusso più consistente dal 2016.
Probabilmente disturba la sottoperformance vistosa del Dow Jones da inizio anno rispetto al più tonico Nasdaq. Oppure condiziona la persistenza di sedute da -1%, tanto rara quanto significativa. Forse, infine, il calendario propone sempre dati macro in grado di scuotere le certezze degli investitori, che prediligono scelte conservative, seppur talvolta controproducenti.
L’inflazione di gennaio è uno di questi dati sensibili. Il consenso raccolto da Bloomberg fra gli economisti suggerisce un CPI al +6.23% annuale. Il punto però non è se, dopo la pausa del mese scorso, l’inflazione scenderà; bensì se si dirigerà e in che tempi verso il target del +2.0% della Fed.
Il tempo a disposizione è contenuto: fino a metà anno il confronto con il 2022 sarà favorevole, poi risulterà proibitivo. Tuttavia, sfugge come negli ultimi mesi il mercato azionario abbia iniziato a convivere pacificamente con i CPI Days, con ritorni medi negativi del tutto trascurabili. In altre parole, gli investitori sono ormai assuefatti al peggio: il tanto temuto dato di oggi potrebbe rivelarsi irrilevante, ai fini della tendenza di breve periodo, e di quella attesa fino a primavera inoltrata.

 

Report a cura di Gaetano Evangelista
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