I rialzisti rintuzzano l'assalto dei venditori

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 14/05/2021 14:46

Ancora una volta reggono gli argini: nessun motivo per mutare orientamento nel breve periodo. Ma in prospettiva è evidente che la parte più brillante del bull market, sia stata per ora archiviata. E opportunamente assecondata: è tempo di coccolare le plusvalenze di portafoglio.

L’affondo delle ultime sedute viene provvidenzialmente rintuzzato dai Tori: la flessione dello S&P500 è ancora una volta contenuta dalla media mobile a 50 giorni – un must, quest’anno – mentre a Piazza Affari l’indice FTSE MIB a sua volta trova sostegno in un argine che ha docilmente accompagnato la salita dal minimo di fine ottobre.

Ribassisti delusi, se non peggio: sul piano formale quella di ieri sulla borsa italiana è una trappola per Orsi, con la penetrazione del precedente minimo, immediatamente rientrata. Fa porre una certa fiducia nella possibilità che il minimo regga per un po’.
Resta valida dalle nostre parti l’ipotesi del tentativo di formazione di un doppio massimo. Così come restano attuali le probabilità che il mese corrente avvii quel processo di formazione di un massimo di mercato di rilievo. A differenza dei bottom, tipicamente un evento, i top sono un processo: spesso laborioso.

Il che non toglie che siano prevedibili per tempo. Ad inizio anno, in sede di Outlook per il 2021, così si scriveva: «emerge l’aspettativa di un massimo nel secondo trimestre: maggio, o giugno» (pagina 146). Oppure: «il ciclo elettorale suggerisce un bivio sei mesi dopo il giorno delle elezioni. Wall Street sarà indifferente a Biden fino a maggio. Poi, fioccheranno le vendite» (pagina 150). Ed infine: «a maggio cade una ricorrenza ciclica» (pagina 155) che lega il massimo di gennaio 2020, con quello di settembre 2018 ed il minimo di inizio 2016.
Confidando in questa previsione, abbiamo potuto godere di una notevole sovraesposizione al bull market, che ha consentito di mettere da parte consistenti plusvalenze. La parte più facile dell’anno è però ora alle spalle.

Il Producer Price Index americano di aprile ha sorpreso ancora una volta le aspettative di investitori ed economisti, sebbene lo scostamento rispetto alle previsioni è stato meno marcato di quanto sperimentato sul CPI. Il dato ha rilevanza non soltanto per gli addetti ai lavori.
Perché una maggiore inflazione, anche “all’ingrosso”, finisce per fagocitare la liquidità in eccesso che fino ad ora ha sollevato tutte le barche. L’espansione della moneta in circolazione risulta sufficiente per l’economia reale, e incide soltanto sui prezzi dei beni reali, e non più anche sulle quotazioni delle attività finanziarie.

Su questo tema torneremo la prossima settimana...

Articolo a cura di Gaetano Evangelista
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