Il passato mese di gennaio è stato negativo per l'Equity, ma ancor di più per le scadenze lunghe del mercato obbligazionario. Tramonta la classica allocazione 60/40, agli investitori è richiesto ora l'impegno di una gestione più attiva e consapevole.
Uno degli aspetti passati in secondo piano del mese che ci siamo appena lasciati alle spalle, riguarda l’indisponibilità di rifugi sicuri per gli investitori. A fronte di un gennaio particolarmente cruento per il mercato azionario, le alternative di investimento hanno deluso anche più: i bond mediamente hanno lamentato una performance media del -2.3%, che sale ad un a dir poco drammatico -9.1% se considerassimo i Treasury Bond ed in generale le scadenza lunghissime: tanto in voga fra gli investitori in un’epoca storica di rendimenti nulli quando non negativi sulla parte breve della curva.
E non finisce qui, perché l’oro ha ceduto l’1.8% e del bitcoin neanche a parlarne. Questo ripropone il tema del declino della strategia “60/40”, che ha fatto la fortuna di una intera generazione di gestori: il più anziano dei quali non ha fatto in tempo a conoscere direttamente il contesto di elevata inflazione degli anni Settanta (figurarsi il più giovane). Se venisse definitivamente meno la correlazione diretta fra mercati azionari e rendimenti obbligazionari, in essere dalla fine degli anni Novanta, che ne sarà di questa generazione di money manager e delle finanze di coloro che prestano loro fiducia?
Tornando al confronto fra Equity e Bond, dal 1980 si contano 15 episodi di saldo negativo da parte del mercato obbligazionario, al termine di un mese che ha visto lo S&P500 cedere almeno il 5% in termini total return: neanche pochi, tutto sommato. Nel Rapporto Giornaliero di oggi ci siamo occupati di questo fenomeno, esaminando quali asset class si sia difesa storicamente meglio nei mesi successivi a questa debacle.
Piazza Affari capitalizza appieno il pessimismo generalizzato degli investitori - ben riflesso in un Panic Index a tripla cifra – coinciso con la sollecitazione della media mobile a 200 giorni; salendo di quasi il 5% in sei sedute: è la performance migliore degli ultimi dieci mesi.
Allargando la visuale, permane lo stallo, che pur non esclude affatto la possibilità di un ulteriore massimo in primavera: si noti ed apprezzi come l’All Share Italia galleggi fra la ex resistenza, ora supporto, poco sopra i 28 mila punti; e la massiccia resistenza-obiettivo da tempo fissata a ridosso dei 31000 punti. Scendere sotto l’argine sarebbe prova di conclamata debolezza. Altrimenti, resta verosimile l’ipotesi del raggiungimento del target, prima di una importante inversione di tendenza.
Articolo a cura di Gaetano Evangelista
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