Il ritorno alla piena attività a Wall Street coincide con una seduta al cui termine hanno prevalso le vendite. L'avversione al rischio è ben percepibile, osservando l'andamento ancora una volta declinante dei rendimenti del T-Note decennale: al 2.07%, è lo yield più contenuto dallo scorso 9 novembre. Bizzarro: un "Trump trade" adesso completamente riassorbito. Premiata la scelta di inizio anno di aggiungere "un po' di bond" al portafoglio.
Gli operatori sono stati questa volta costretti alla resa, pressati dalle note considerazioni legate al tetto del debito federale, alla minaccia nordcoreana e a quella meteorologica. La prospettiva di un ridimensionamento peraltro rientrando nella previsione di breve periodo, suggerita dal Delta System e dai modelli previsionali commentati la scorsa ottava.
Il dollaro si mantiene fiacco. Per dirla tutta, siamo in presenza al momento dell'annata più debole degli ultimi trent'anni. Soltanto nel 1986 il biglietto verde denunciava un passivo più consistente, all'indomani del Labor Day. Malgrado la retorica muscolare pronunciata dalla Casa Bianca lo scorso autunno, gli "Accordi del Plaza 2.0" si sono concretizzati appieno; riverberandosi sulla performance di Wall Street: non tanto assoluta, quanto relativa.
La figura difatti mostra il confronto fra Dollar Index e il rapporto fra S&P500 e MSCI World ex USA. Le due linee praticamente si sovrappongono: il che spiega perché i listini USA, in valuta locale, dallo scorso inverno in avanti abbiano perso capitalizzazione rispetto al resto del mondo (quattro punti, come evidenziato ieri). Vien da se' che un ritorno alla sovraperformance, da parte di Wall Street, emergerà soltanto una volta sperimentata un'inversione di tendenza sul biglietto verde. Va osservato, peraltro, come - malgrado il dollaro si attesti sui minimi - il bottom di forza relativa della borsa americana, realizzato a maggio, correntemente non sia ancora stato abbattuto.
Articolo a cura di Gaetano Evangelista
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