Prima della settimana passata i mercati azionari hanno consegnato performance eccezionalmente sontuose. Eppure gli operatori continuano a vedere il bicchiere mezzo vuoto, persuasi da una stampa parziale se non talvolta in malafede.
Con una performance del +18.4%, alla fine di agosto il 2024 per lo S&P500 è stato il migliore degli ultimi quattro anni, il secondo migliore del secolo, e la dodicesima prestazione più brillante dal Dopoguerra.
Eppure, è bastata una settimana particolarmente negativa, per gettare lo scompiglio fra molti investitori. Ciascuna delle sedute dell’ottava passata si è risolta in negativo, confermando la lugubre fama di cui gode il mese di settembre. Peggio fa il Nasdaq, ora formalmente entrato in territorio correttivo con un ripiegamento superiore al 10% dai massimi. E non manca chi denuncia un testa e spalle ribassista sull’indice di Times Square.
Non ha aiutato il dato sull’occupazione negli Stati Uniti ad agosto: inferiore alle aspettative, ma soprattutto con una vistosa revisione al ribasso nei due mesi precedenti. Il tasso di disoccupazione è sceso, ma soprattutto per effetto degli arrotondamenti (la limatura è dello 0.03%). Non conforta molto rilevare che la dinamica di salari e stipendi, ancora robusta, non conferma la apparente debolezza del mercato del lavoro.
In effetti un recente rapporto di Goldman Sachs rileva come la capacità predittiva dell’ormai celebre Sahm Rule nelle economie occidentali, sia solo del 70%; del 90% se si accettasse una risalita di 1.2 punti percentuali dal minimo della media a tre mesi del dato. Una conferma troppo tardiva per poter essere impiegata. Molto meglio sarebbe concentrarsi sulla variazione assoluta dei posti di lavoro. Ma la smentita non collimerebbe con la narrativa dominante.
Rispetto a giovedì, non mutano sostanzialmente le attese per le misure che la Fed adotterà fra pochi giorni: scontato un taglio da 25 punti base, con l’eventualità di una riduzione da mezzo punto percentuale praticamente al 50%. Decisivo risulterà a questo punto il dato sull’inflazione.
Di buono c’è che il rallentamento dell’espansione occupazionale ha indotto molti a cercare riparo nel mercato obbligazionario, con i rendimenti dei bond su nuovi minimi annuali su tutte le scadenze: 2, 5 e 10 anni. Bespoke rileva come storicamente in simili circostanze lo S&P500 abbia sempre fornito ritorni medi ben maggiori del solito: +2.09% dopo un mese (contro il +0.78 storico), +4.37% dopo tre mesi (2.41% dal 1976), +8.70% dopo sei mesi (+4.30%) e +12.21% dopo un anno (+10.06%).
Gli umori di trader ed investitori si diceva all’inizio si sono drasticamente raffreddati. Il Fear&Greed si è tornato in zona sub-mediana, dopo essere salito di recente sopra i 60 punti. Una escursione notevole in sì poco tempo. Per la terza volta in due anni il F&G è transitato in poche settimane da meno di 20 a più di 60 punti. I precedenti fanno riflettere.
Gaetano Evangelista
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