A dodici mesi dal minimo da cui sono ripartite le quotazioni azionarie, gli investitori tirano le somme: bene gli investimenti in borsa, malissimo quelli in titoli di Stato. Trascurate le esortazioni di inizio 2022 a sbarazzarsi dei bond, e di dodici mesi fa di comprare azioni.
Il tanto atteso rapporto sull’inflazione delude le aspettative degli operatori. L’indice dei prezzi al consumo fa registrare una variazione mensile superiore alle attese, soprattutto per l’incidenza della componente immobiliare, ed in seconda battuta per l’aumento dei carburanti.
La reazione del mercato obbligazionario è veemente, con un balzo fino a 19 punti base da parte del rendimento trentennale, di 14pb per il Treasury a 10 anni; per quella che risulta la peggiore seduta da marzo 2020. Prontamente il mercato a termine prezza ora una probabilità ancora minoritaria, sebbene crescente (40%) di nuovo intervento restrittivo sui tassi il 1° novembre.
Comprensibile lo sconforto degli investitori in reddito fisso, che devono ora sperare che la tanto agognata recessione sia finalmente innescata dai venti di guerra che soffiano in Israele. Se il 2023 fosse terminato ieri, negli ultimi tre anni un investimento in titoli di Stato avrebbe reso mediamente il -5.3% annuo, considerando anche le cedole, stando al Bloomberg Barclays Bond Total Return Index.
Nel frattempo il mercato azionario mondiale, che festeggia in queste ore il primo compleanno del bull market ciclico ripartito appunto ad ottobre dello scorso anno; ha portato a casa nel medesimo arco di tempo il +6.5%, senza considerare i dividendi incassati; sempre in termini medi annualizzati. Una bella differenza, tenuto conto oltretutto delle notevoli turbolenze con cui abbiamo convissuto dal 2020 ad oggi.
Non ultimo, un tightening monetario che non riguarda soltanto i tassi di interesse ufficiali. Negli Stati Uniti, la cura dimagrante imposta da Powell ha ridotto il bilancio della Federal Reserve di un trilione di dollari in un anno e mezzo. Ancora più draconiana la cura dimagrante imposta in Europa dalla BCE: quasi 1.8 trilioni di liquidità “distrutta” da metà dell’anno scorso a ieri.
Gli investitori soltanto adesso realizzano quanto il Quantitative Easing abbia favorito nei quasi tre lustri passati più il mercato obbligazionario che quello azionario, stando alla encomiabile tenuta di quest’ultimo, ed invece al crollo rovinoso del primo. Ma probabilmente l’aspetto monetario è soltanto uno dei tanti fattori da ponderare per pervenire ad una valutazione definitiva.
L’approccio tecnico in questi anni si è rivelato l’unico in grado di anticipare correttamente gli eventi. L’aspettativa di un consolidamento fra la fine di luglio e gli inizi di ottobre è stata rispettata, con il mercato che ora va nella direzione suggerita dai modelli previsionali. Nel breve periodo, come anticipato ieri mattina, si fanno i conti con una scadenza ciclica che impone alle borse uno stop: verosimilmente fino al successivo appuntamento riportato nel Rapporto Giornaliero.
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