Attualmente, sembra che gli Stati Uniti e l'Europa stiano perdendo controllo sulle principali crisi internazionali. Questo si riflette anche all'interno del Fondo Monetario Internazionale (FMI), dove si assiste a uno scontro tra Stati Uniti e Cina, con Europa e Italia in una posizione marginale. Questa situazione rischia di danneggiare la credibilità e il potere globale delle democrazie.
L'ultima revisione del sistema di quote del FMI risale al 2010. Tali quote rappresentano le partecipazioni azionarie degli Stati nel capitale del Fondo e dovrebbero riflettere il peso di ciascun Paese nell'economia mondiale. Tuttavia, il mondo del 2010 era molto diverso da quello attuale e la distribuzione delle quote risulta ora squilibrata, favorendo le economie avanzate. Per esempio, l'Italia nel 2010 rappresentava il 2,5% del Pil mondiale, ma la sua quota è stata fissata al 3,02%. Questa sovrapposizione è aumentata negli anni, dal momento che il peso dell'Italia nel 2022 è sceso al 2%.
Il Brasile, un altro esempio, nel 2010 aveva un peso del 2,4% nell'economia mondiale e ha ottenuto una quota del 2,2% all'FMI; oggi, questa quota è probabilmente sottostimata. Questo squilibrio genera tensioni tra i Paesi avanzati e quelli emergenti, poiché la difesa delle posizioni dei Paesi avanzati genera frustrazione nei Paesi economicamente in crescita.
Questo attrito si riflette anche nelle due superpotenze rivali, gli Stati Uniti e la Cina. Nel 2010, la Cina aveva una quota dell'economia mondiale del 9% (13% in parità di potere d'acquisto), ma le è stata assegnata una quota del 6,08% all'FMI. Gli Stati Uniti si opposero fortemente a un aumento di questa quota. La quota del Giappone nel capitale del Fondo era del 6,13%, leggermente superiore a quella della Cina. Oggi, la Cina mantiene la sua quota del 6,08%, ma rappresenta il 18% dell'economia internazionale, creando uno squilibrio marcato.
Il presidente cinese Xi Jinping sta conducendo una campagna per la revisione delle quote a favore dei Paesi emergenti. Ciò potrebbe essere un tentativo di esporre le contraddizioni degli Stati Uniti e minare la credibilità delle istituzioni finanziarie internazionali. Gli Stati Uniti, dal canto loro, oppongono resistenza alle richieste di revisione delle quote, cercando di preservare la posizione del Giappone a scapito della Cina.
La soluzione proposta dal segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen, è che ogni Stato aumenti il suo capitale all'FMI in proporzione alla sua quota. Questo consentirebbe al Fondo di avere più risorse, mantenendo invariato il potere di ciascuno Stato. Le richieste di Cina e Brasile saranno quindi respinte, dando a Xi la possibilità di dimostrare che l'FMI è uno strumento di potere dei vecchi potentati.
La Cina, tuttavia, non è una potenza benevola. Nella lista dell'FMI dei Paesi indebitati e a rischio di insolvenza, la Cina è il maggiore creditore. Quando offre sollievo sul debito, spesso richiede in cambio il controllo di asset strategici. Un esempio è lo Sri Lanka, che dopo non essere riuscito a pagare il suo debito con Pechino, ha ceduto il controllo del porto di Hambantota.
In conclusione, la difficoltà dei Paesi ricchi nel misurarsi con il cambiamento di questi anni rischia di favorire le manovre di potenze come la Cina e la Russia, che cercano di alimentare il caos sperando di uscirne vincenti.
(Redazione)