Uscire dal lavoro con tre anni di ritardo rispetto all'attuale Pensione di Vecchiaia diventa sempre meno un'ipotesi, e più una realtà di fatto.
Una realtà a cui difficilmente ci si potrà opporre, a meno che non si faccia maggior attenzione alla propria situazione pensionistica.
Vediamo infatti chi oggi rischia di andare in pensione a 70 anni, e cosa si può fare per evitare tutto ciò.
Per saperne di più in merito all'argomento, consigliamo di approfondire al meglio la questione con questo video YouTube, con ringraziamento al canale di Angelo Greco.
Pensione a 70 anni, chi rischia oggi e domani
Oggi il futuro previdenziale è già nero per chi si ritrova con una carriera lavorativa costellata da buchi contributivi o periodi con bassa retribuzione e di breve durata.
Praticamente l'intera generazione di precari da 20-30 anni a questa parte. Per loro il blocco fino a 70 anni è assicurato se non mettono da parte almeno 20 anni di contributi (non necessariamente effettivi).
O addirittura 25 anni, se una certa proposta dovesse trovare il benestare del Governo.
Comunque sia, per arrivare a 67 anni bisogna avere un cumulo contributivo il più possibile solido. Anche se è molto probabile che in futuro l'uscita potrebbe essere comunque posticipata per tutti.
Data la progressività dell'età pensionabile, già da tempo l'ISTAT ha fatto presente come si evolverà l'aspettativa di vita nel nostro paese. Se oggi la soglia è di 67 anni, tra circa 30 anni sarà invece a 70 anni.
Pertanto, chi inizia oggi a lavorare dovrà aspettare 40 e passa anni prima di poter andare in pensione.
Pensione a 70 anni, come ritirarsi prima
Per evitare a tutti i costi il ritiro dal lavoro a 70 anni, il contribuente deve avere:
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più di 35 anni di contributi;
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un montante contributivo molto corposo.
Nel primo caso ci riferiamo alle pensioni anticipate, che in genere prevedono almeno 35 anni di contributi (a parte l'Ape Sociale per i lavoratori standard, i quali possono ritirarsi anche con 30 anni di contributi).
La più onerosa tra le Pensioni Anticipate rimane sempre la soluzione Fornero, con ben 41-42 anni di contributi come requisito contributivo. In compenso, ci si può ritirare teoricamente a 57 anni.
In alternativa, ci sarebbe Quota 84, che prevede solo 20 anni di contributi per uscire a 64 anni. Purtroppo, proprio quest'opzione anticipatoria rientra nel secondo caso.
Tra le tante, Quota 84 prevede anche il requisito dell'importo minimo dell'assegno, che deve essere pari a 3 volte il trattamento minimo, ovvero circa 1.600 euro.
Caso a parte per le lavoratrici con figli a carico, che possono ritirarsi anche con un assegno 2,6 volte o 2,8 volte la minima.
Pertanto, anche se si hanno decine di anni contributivi, se il montante non permette di maturare un assegno del genere, occorre rivolgersi ad altro.
Se invece non si hanno proprio contributi, l'unica opzione rimasta è quella dell'assegno sociale, che per il momento è previsto per chi ha 67 anni d'età e una situazione economica svantaggiata.
Pensione a 70 anni, rebus sulla previdenza complementare
Al di fuori della rosa di soluzioni previdenziali "pubbliche", per ritirarsi prima dei 70 anni ci sarebbe anche l'opzione della previdenza complementare.
Maturando un montante contributivo privato, si potrebbe addirittura ricorrere alla RITA per anticipare l'uscita di almeno 5-10 anni rispetto alla Pensione di Vecchiaia.
Ovviamente la previdenza complementare ha i suoi pro e contro, soprattutto a livello di "guadagni". Infatti dovrebbe rimanere un'opzione libera per tutti i lavoratori.
Il problema è che forse in futuro la previdenza complementare, più che un'opzione, diventerà un vero e proprio obbligo per molti lavoratori.
Di recente l'Esecutivo ha voluto proporre una specie di obbligo per tutti i lavoratori. Invece di lasciare il proprio TFR in azienda, l'idea sarebbe quella di versare almeno il 25% del TFR in un fondo pensione "esterno" all'impresa in cui si lavora.
Una proposta abbastanza controversa. Da una parte si avrebbero centinaia di imprese private di una buona fonte di liquidità (appunto quella derivante dai TFR in azienda).
E dall'altra si avrebbero lavoratori che, stando alle stime dell'Ufficio delle politiche previdenziali della Cgil, si ritroverebbero con questo versamento a malapena 112 euro in più.