Se parlate con gli amici o sentite un gruppo di persone discutere di borse e titoli azionari, difficilmente i termini “perdita” o “minusvalenza” riecheggeranno nelle vostre orecchie.
Decisamente più facile è ascoltare la versione che narra di guadagni memorabili e di operazioni in forte profitto che hanno permesso a questo o quell’altro soggetto di farsi una bella vacanza estiva se non addirittura acquistare un monolocale al mare.
Viviamo in un mondo economico e finanziario meraviglioso, quindi? Non proprio.
Minusvalenze: che cosa sono
Chiunque si sia cimentato in operazioni di borsa, sa benissimo che, il risultato è sempre aleatorio.
Si possono prendere tutte le precauzioni possibili, utilizzare software, essere accorti, padroneggiare la materia ma, alla fine, non v’è mai la certezza di portare a casa un risultato positivo.
A volte, poi, capita di impegnare somme di denaro sulle società sbagliate e quindi, di dover prendere decisioni anche drastiche: mantenere i titoli in portafoglio per anni sperando che accada qualcosa di positivo oppure chiudere le posizioni, in perdita, e dirottare il controvalore su altre azioni o tipologie di investimenti?
Nel momento in cui si decide di vendere realizzando meno di quanto speso per l’acquisto dei titoli, si materializza quella che viene definita minusvalenza.
Solo ed esclusivamente in quel momento si può, a ragion veduta, parlare di perdita.
Ecco perché vanno distinte le variazioni giornaliere del prezzo di un titolo (cosiddette perdite potenziali) dall’effettivo minor introito in seguito alla vendita del titolo stesso sul mercato.
Nel secondo caso si realizza una minusvalenza.
L’impatto psicologico della parola, può essere decisamente negativo, specie per chi è alle prime armi in ambito di operazioni di borsa.
Diciamo la verità: perdere non piace a nessuno, figuriamoci se si tratta di soldi propri. In certi casi, però, è necessario nel senso che, se ci si accorge di aver fatto una scelta errata (può capitare), può essere opportuno cambiare opzione e cercare di recuperare il capitale perduto in altro modo.
Rimane la minusvalenza.
Cosa farne?
Minusvalenze: come usarle a proprio vantaggio
Un tempo, venivano tassati i guadagni, mentre le perdite rimanevano lì, a frullare nella mente del singolo risparmiatore. Dalla fine dello scorso secolo, si è iniziato a legiferare sulle minusvalenze rendendole, di fatto, parte attiva (e non solo passiva) della vita finanziaria dell’investitore.
In poche parole, le minusvalenze possono essere portate in compensazione dei guadagni (sui quali si deve pagare il capital gain) futuri entro il termine di quattro anni dal momento in cui sono effettivamente state realizzate.
Quindi, se oggi vendo a 10 un titolo che avevo pagato 20, realizzo una minusvalenza di 10.
Quei 10 euro potrò portarli in diminuzione dei guadagni che realizzerò con altre operazioni finanziarie da qui al settembre 2026.
Se ad esempio, il prossimo anno dovessi vendere un titolo e realizzare un profitto di 15 euro, potrei utilizzare la minus accantonata e far sì che, anziché i 15 euro, mi vangano tassati, ai fini del capital gain, solamente 5 euro (15 di guadagno meno i 10 della minusvalenza accantonata).
Posso compensare le minusvalenze con qualsiasi tipologia di operazione? Assolutamente no.
Le minusvalenze accantonate, non possono essere bilanciate con Etf, Fondi comuni di investimento, cedole titoli e dividendi azionari.
Quindi, se si presta attenzione alla composizione del proprio portafoglio, è possibile giocare d’astuzia e usare le perdite come plusvalore trasformandole, da evento totalmente negativo, in un raggio di positività.
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