Inflazione oltre le attese
L'indice CPI (Consumer Price Index) dei prezzi al consumo negli Stati Uniti d'America a febbraio si colloca sopra le attese degli economisti. L'indice grezzo si è attestato a +3,2% dopo il +3,1% di gennaio e il +3,4% di dicembre mentre il CPI core (esclude dal computo i volatili capitoli cibo ed energia) ha fatto segnare +3,8%, in calo dal +3,9% di gennaio.
Il consensus era fissato rispettivamente a +3,1% e +3,7%. Una sorpresa quindi per coloro (la maggioranza) che pronosticavano il proseguimento del progressivo rientro degli indici verso l'obiettivo del 2% fissato dalla Federal Reserve e da essa pervicacemente perseguito con l'aggressiva manovra restrittiva avviata due anni fa.
Probabilità taglio tassi in calo
La reazione del mercato è coerente con il set di dati come quello appena ricordato.
Una dinamica dei prezzi al consumo superiore alle attese dovrebbe consigliare prudenza prima di avviare la fase accomodante. In altre parole ridurre in qualche misura a più miti consigli i pronostici sull'esito della riunione del FOMC (Federal Open Market Committee, il comitato operativo della banca centrale americana) in calendario il 12 giugno.
Le indicazioni del CME FedWatch Tool vanno in questa direzione: al momento le probabilità di taglio da 25 bp si attestano poco sotto il 57% contro oltre il 59% di stamattina, con probabilità del 33% di tassi invariati (28% stamattina).
Stesso schema per quanto riguarda la previsione sull'entità della riduzione complessiva entro la fine dell'anno: le probabilità di un taglio da 100 bp (quattro tagli da 25) scivolano sotto il 32% dal 34 di stamattina, mentre salgono a quasi il 32% quelle di un -75 (tre tagli) da 30%.
Le chance di -125 bp (cinque tagli, ovvero uno in ogni riunione a partire da quella du giugno) scendono al 14% dal 17% di stamattina.
Reazione coerente dei rendimenti a lungo termine
Coerente anche la reazione dei rendimenti a lungo termine.
Quello del T-Note decennale è scattato sul 4,1650% da poco più del 4,08% prima dell'uscita dei dati, attestandosi sui massimi da quasi una settimana. Anche quello del T-Bond trentennale è passato dal 4,24% a 4,32% circa, massimi da martedì scorso. Tutto punta quindi nella direzione di uno scenario meno accomodante.
Non di molto però: ricordiamo infatti che l'indice CPI è importante ma non quanto (ai fini delle decisioni di politica monetaria) l'indice PCE (Personal Consumer Expenditures), quello su cui la Fed proietta il famigerato obiettivo del 2%.