Si addensano le nubi sui tecnologici dopo le ultime importanti trimestrali giunte sul mercato, quella di Google, o meglio dalla sua controllante Alphabet, e quella di Microsoft.
I numeri di Google
Il gigante di Montain View e dei motori di ricerca - a limitare grossolanamente l’articolato business della società guidata dal CEO Sundar Pichai – ha chiuso il secondo trimestre del 2022 con un balzo dei ricavi del 13% a/a a 69,68 miliardi di dollari.
Una performance che farebbe invidia a tutti, ma non ad Alphabet, che – sottolinea il Wall Street Journal – registra così il minor tasso di crescita degli ultimi due anni. In effetti la valutazione dei dati di Alphabet non è unanime, ma in genere non è comunque ottimistica.
Bloomberg sottolinea l’utile per azione in calo da 1,36 a 1,21 dollari ha deluso le attese degli analisti poste a 1,32 dollari.
Uno scarto non da poco, anche se su altri panel il consensus scivola a 1,29 o anche a 1,27 dollari, la delusione è innegabile. Certo Goldman Sachs ha ribadito un giudizio positivo sul titolo con un rating buy e un prezzo obiettivo da 150 dollari, ma Jefferies ha tagliato il target da 155 a 130 dollari e Piper Sandler da 139 a 135 dollari.
Sostanzialmente confrontando il secondo trimestre del 2022 con quello del 2021 i ricavi sono cresciuti esattamente del 12,61% ma i costi e le spese del 18,14%, soprattutto però a causa di spese importanti in ricerca e sviluppo (+28,22% a 9,84 mld) e marketing (+25,66%) a 12,45 miliardi.
Da queste due dinamiche di vendite e costi deriva sostanzialmente la flessione degli utili. E’ calata anche la cassa derivante dalle attività operative da 21,89 a 19,42 miliardi, dei quali 6,82 miliardi sono andati in beni immobili e attrezzature. I numeri sono al solito giganteschi, se si guardia allo stato patrimoniale si legge di un patrimonio da 255,419 miliardi di dollari e di una cassa da quasi 125 miliardi di dollari che fa ritenere Alphabet una delle società con il più solido bilancio del mondo.
Su quasi 70 mld di giro d’affari di Alphabet, ben 56,28 miliardi vengono da Google Advertising, che sarebbe poi la pubblicità online, non solo con gli annunci sui motori di ricerca ma anche quelli su YouTube (controllata del gruppo): sono cresciuti di poco meno di 6 miliardi.
Da Google altri 6,5 miliardi in calo vengono per altri servizi e sono poi da aggiungere i servizi di Google Cloud che vanno davvero bene con un balzo da 4,62 a 6,27 miliardi di dollari trimestrali in un anno.
Google, la questione della pubblicità
Ovviamente dunque l’attenzione degli osservatori si è concentrata sulla pubblicità e segnatamente sui ricavi derivanti da quelle della divisione per le ricerche su web.
Su questo fronte Google ha sostanzialmente mostra vendite superiori alle attese degli analisti e ha dunque resistito a quel clima di crollo sul fronte del marketing pubblicitario che si era respirato invece su altri antagonisti (relativamente) minori come Snap e Twitter.
Il management è rimasto comunque cauto, ha parlato di incertezze 13 volte negli annunci al mercato e ha dichiarato di avere temporaneamente messo in pausa le assunzioni.
Una mossa fatta già da altri giganti tecnologici che invia segnali di attenzione, se non proprio di allarme nel contesto sempre più cupo dell’economia Usa.
Dopo un -1,6% del Pil statunitense sul trimestre precedente nel primo trimestre, il trimestre in corso potrebbe certificare la recessione tecnica che tante volte indicatori come la curva dei rendimenti hanno presagito e che diversi leading indicator danno quasi per certa.
Va però ricordato che la variazione annua del Pil manteneva però un vantaggio del 6,6% sul primo trimestre del 2021. Le tre stime del Pil erano persino migliorate al terzo dato su base tendenziale, mentre la base congiunturale si era deteriorata impietosamente di stima in stima, da un -1,4 a un -1,5% a un -1,6%
Molti osservatori ormai si chiedono più quando che se oggi la FED con i suoi rialzi forse dello 0,75% accelererà quella stretta sui tassi anti-inflattiva che potrebbe contribuire a raffreddare il motore dell’economia Usa.
Ancora ieri il Fondo monetario internazionale stimava però una crescita del 2,5% per gli States quest’anno. Si tratta appunto di variazione tendenziali però e non è detto che poi la fotografia dell’oggi non sia già di crisi e i prossimi dati sulla pubblicità anche digitale potrebbero confermarlo con immaginabili impatti sul core business di Google, che però, a onor del vero, per ora resiste e ha anche chiuso in rialzo del 5% a 110,5 dollari le negoziazioni after-hours.
Sarà fiducia nella resilienza del gruppo? Sarà temporaneo sollievo dopo la perdita da oltre 19 punti percentuali dell’ultimo anno? O sarà il giusto premio alla resilienza di un protagonista del proprio settore che deve però confrontarsi con un contesto in sempre più vistoso deterioramento?
D’altronde le sfide per Google non sono da poco, anche sul fronte regolamentare sia negli Stati Uniti, che in Europa, che in altri mercati.
Di recente, il 14 luglio, Bloomberg ha riportato che il Dipartimento di Giustizia Usa sarebbe orientato a un rigetto dei rimedi proposti da Alphabet per rimediare alla posizione di predominio nel mercato pubblicitario online. L’ultima proposta sarebbe stata per una scissione del business pubblicitario da Google per un suo trasferimento dentro comunque il perimetro di Alphabet.
Il caso è ancora pendente, ma probabilmente quello che più preoccupa Sundar Pichai in questi giorni è la tenuta generale dell’economia Usa e globale e del mercato pubblicitario negli States e worldwide.
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