Gestione attiva o passiva: andamento di mercato
Un anno come quello scorso, caratterizzato da estrema volatilità, avrebbe dovuto concludersi con risultati interessanti per i gestori che attuano una politica di gestione attiva.
In realtà, le cose non sono andate così, almeno nella maggior parte dei casi.
Le premesse teoriche ci sarebbero state tutte, visto che, avendo come obiettivo quello di fare meglio del benchmark (senza limitarsi a replicarlo), i fondi a gestione attiva avevano tutte le carte in mano per ottenere buoni risultati.
Nella realtà dei fatti, l’andamento negativo di tutte le tipologie di mercato (dalle azioni alle obbligazioni) non ha fatto altro che creare ulteriori problematiche rispetto ad uno scenario macroeconomico già di per sé estremamente negativo.
Ovviamente, a fare la differenza sono state le scelte e le strategie dei singoli gestori, in grado di portare o meno in dote plusvalore per i sottoscrittori dei vari strumenti finanziari.
Nella media, però, meno della metà dei fondi a gestione attiva ha registrato risultati migliori rispetto a quelli a gestione passiva.
Il che, ha posto dubbi e interrogativi.
Gestione attiva: perché sì, perché no
Perché si dovrebbe quindi scegliere un prodotto a gestione attiva se i risultati, alla fine, si rivelano peggiori di altri a gestione passiva?
Intanto occorre differenziare caso per caso, nel senso che, tra i gestori, c’è chi si rivela più bravo e chi meno.
Va poi precisato che i risultati vanno monitorati in un arco di tempo congruo e che quindi, un singolo anno, non può fare testo in maniera definitiva.
L’orizzonte temporale è determinante ed essenziale anche perché è anche sulla base di quello che il gestore effettua le proprie scelte d’investimento.
Chi opta per un fondo a gestione attiva, mediamente paga un prezzo più esoso (in termini di commissioni) perché si attende un plusvalore da una gestione dinamica volta a creare i presupposti di guadagno, sia quando i mercati salgono che quando scendono.
Ciò che bisogna quindi valutare, nel tempo, è se si sia scelto lo strumento più opportuno e se il gestore a cui si sono affidati i propri risparmi abbia operato bene o poteva fare meglio.
Perché, in caso di risposte negative, la scelta effettuata può rivelarsi un vero e proprio boomerang.
Quindi: osare o andare cauti?
Valutare le esigenze, gli obiettivi, le tempistiche è il primo passo; poi, è opportuno andarsi a leggere il regolamento del fondo, le strategie di gestione e lo storico di quel gestore.
Perché se è vero che i risultati passati non rappresentano garanzie per il futuro, servono comunque per capire, nel tempo, se un gestore ha operato bene o meno.
Gestione passiva: perché sì, perché no
La gestione passiva calza a pennello per coloro che vogliono affidarsi ad un professionista e non vogliono correre rischi ulteriori rispetto a quelli già insiti nei mercati stessi.
Si abbina all’investitore che preferisce la politica dei piccoli passi a quella del salto in lungo o del salto triplo.
L’obiettivo della gestione passiva, infatti, è quello di replicare il benchmark di riferimento.
Ergo, si sa già in partenza che il risultato ottenuto sarà in linea con quello che otterrà il parametro cui lo strumento finanziario è collegato.
Un bene, un male?
Come sempre, le risposte si possono solo dare a posteriori.
In tale ambito, diventa importante il benchmark scelto dal gestore.
Ecco perché, anche quando si sceglie uno strumento finanziario che lavora con la gestione passiva, è comunque doveroso andarsi a leggere tutte le informazioni utili ad una giusta valutazione dell’investimento.
I parametri sono tanti, le differenze pure.
La superficialità può essere molto dannosa.