Il caso SVB negli Stati Uniti potrebbe scuotere ancora i mercati e alterare lo scenario, ma intanto domani le proiezioni macroeconomiche dello staff Bce dovranno tenere conto del calo dei prezzi del gas.
Autorevolezza e decisione saranno d’obbligo, più ovviamente una prudenza “data dependent”
Domani la Bce alzerà i tassi d’interesse di 50 punti base al 3,50% Il consensus degli analisti, fra mille distinguo e doverose precisazioni, lo dà per scontato.
D’altronde all’ultima riunione la Bce era stata insolitamente (anche se non graniticamente) chiara al riguardo anticipando che ci sarebbe stato un altro rialzo di mezzo punto percentuale a marzo.
L'incontro però giunge sotto cattivi auspici: in rapida successione la lontana crisi di SVB e la molto più vicina debacle di Credit Suisse proiettano oscuri auspici sulla tenuta del quadro finanziario e la Bce dovrà rassicurare i mercati sull'efficacia dei propri controlli sul sistema.
Una reazione di allentamento monetario (o almeno di decelerazione o pausa dal ritmo serrato delle strette) potrebbe essere percepita come un segnale di debolezza.
Al contempo la banca centrale dovrà assicurare la coerenza dei propri piani con il proprio mandato e l'efficacia della propria politica monetaria che già in passato si è mostrata tardiva sull'inflazione e quindi costretta a una serie di interventi insolitamente rapidi e decisi.
Tecnicamente si dovrebbe parlare di forward guidance, come nel gergo della nostra banca centrale si chiamano le indicazioni sulle future decisioni di politica monetaria, ma l’approccio “data dependent”, ossia la volontà esplicita di ancorare ogni decisione all’evoluzione dei dati macroeconomici che man mano escono, rende da tempo le stime e gli annunci più fragili.
Senza considerare che ai dati macroeconomici fortemente manipolati dall’altalena dei prezzi energetici, si aggiungono segnali di contesto importanti, come il fallimento recente di importanti banche regionali statunitensi, le perduranti incertezze sull’evoluzione della guerra in Ucraina o lo stato delle catene di approvvigionamento globali.
La nuova crisi di Credit Suisse, già da tempo in grande difficoltà in realtà, ma ora ko dopo il no arabo all'immissione di ulteriore capitale proietta inoltre nuove onde sismiche sui mercati dopo il terremoto SVB che sembrava distante, ma sollevava già timori di rischi sistemici nonostante le rassicurazioni sui livelli di capitale e la maggior sicurezza delle banche europee.
Ma stiamo ai parametri fondamentali che guidano l'operato della Bce, a partire dall'inflazione.
BCE, il calo dell'inflazione complessiva dopo i rialzi
L’inflazione sta diminuendo, è vero, ma l’8,5% di febbraio per l’inflazione armonizzata (HICP) è ancora troppo distante dall’obiettivo simmetrico del 2%
Il picco di ottobre del 10,6% è stato limato al 10,1%, al 9,2% e all’8,6%, fino all’ultimo dato, ma al contempo questo dato dell’inflazione complessiva, la headline come si suole dire.
BCE, ma l'inflazione core aumenta ed è un problema
A valle, considerando l’inflazione core, che esclude i più volatili prezzi dell’energia e degli alimentari, i segnali sono assai meno incoraggianti.
Mentre l’inflazione headline limava i propri eccessi infatti l’inflazione core si radicava, dispiegando su tutte le filiere di valore un aumento di prezzo ben più strutturale.
Così, se si guarda la dinamica dell’inflazione core, si nota un 5% a ottobre e novembre 2022, che sale al 5,2% a dicembre, al 5,3% a gennaio e al 5,6% a febbraio.
E’ l’inflazione più pericolosa. La Bce non può permettersela.
Mina infatti più in profondità la traiettoria dei prezzi disancorandola dal percorso di convergenza verso quel 2% simmetrico che è l’obiettivo statutario della Banca centrale. Si tratta di una struttura dei prezzi che si radica più lentamente, ma in maniera più pervicace e che quindi è più difficile da sradicare.
BCE, i lasciti e le sfide di un'epoca anomala
Certo viviamo ormai da tempo in un’epoca anomala.
Anni di tassi a zero hanno alterato il normale funzionamento dei mercati, dalla crisi finanziaria del 2008 in poi le politiche monetarie espansive hanno reso difficilissima la ricerca di rendimenti nel fixed income che solo ora riescono a bilanciare come alternativa d’impiego i mercati azionari.
Il panorama del rischio con la rapida accelerazione dei tassi dell’ultimo anno si è insomma riequilibrato, ma i costi di questo intervento emergenziale per modi e per tempi iniziano a venire al pettine, come anche il caso delle banche americane e in particolare di SVB dimostra.
Certo i prezzi energetici si sono calmierati grazie a una rapida ed efficace differenziazione degli approvvigionamenti UE, a un inverno straordinariamente mite, a sanzioni e provvedimenti europei e nazionali.
Ancora in queste ore il prezzo del gas olandese, l’ormai famoso TTF, passa cede un altro 0,64% a 43,9 euro/MWh ben lontani dagli oltre 320 euro dello scorso agosto.
Anche le catene di approvvigionamento si stanno stabilizzando.
Lo ha confermato anche l’ultimo report S&P Global Eurozone Manufacturing PMI che ha registrato nell’Eurozona la maggiore riduzione dei tempi di fornitura dal maggio del 2009 e segnali molto positivi di stabilizzazione nel settore soprattutto in Italia, Grecia e Spagna.
Ma al contempo si segnalano da tempo gli impatti dei prezzi sulla domanda e gli effetti recessivi del troppo rapido rialzo dei tassi. I nuovi ordini a febbraio nel manifatturiero sono diminuiti per il decimo mese di seguito, anche a seguito del destocking dei clienti e si è sentito questo impatto anche dai nuovi ordini dall’estero.
BCE, le sfide dei prossimi meeting
Tutto questo spinge alla domanda non banale sulle decisioni che la Bce dovrà prendere nei prossimi decisivi mesi.
Mantenere ancora una stretta forte di 50 punti base a incontro? O ridurla a 25 punti base? A che punto fermarsi al 4% o al 4,5%?
Diversi osservatori hanno già sottolineato che l’effetto della politica monetaria sull’economia richiede tempo, tipicamente 6-12 mesi, anche se dipende molto dal settore specifico di attività.
E’ certo però che i primi segnali di rallentamento della ripresa economica si sono consolidati e che intanto cresce l’inflazione core che minaccia un mix pericoloso di inflazione e stagnazione, ossia la stagflazione che tutti reputano lo scenario peggiore.
Domani le nuove proiezioni dello staff macroeconomico della Bce forniranno ulteriori elementi alla Bce per le sue valutazioni.
Dovranno tenere conto di tutto, anche del ribasso dei prezzi del gas.
La Bce dovrà riuscire in un delicato equilibrismo. Da un lato confermare la stretta per ridurre l’inflazione e dimostrare di essere coerente con i propri obiettivi, dall’altro dovrà necessariamente tenere conto anche dei segnali di distensione sui prezzi energetici che poi sono alla base delle fiammate inflattive di qualche mese fa.
Il tutto senza potere ignorare la montante marea dell’inflazione core.
Sarà complesso e delicato, anche se saranno poi i meeting successivi del 4 maggio e del 15 giugno che daranno una direzione decisiva sul tasso terminale.
E potranno anche avere una più chiara visione su cosa succede negli Stati Uniti e, dopo il caso Credit Suisse, in Europa.
Due rialzi da 25 punti base porterebbero i tassi, dando per scontata domani un’ascesa al 3,5%, al 4% che potrebbe rappresentare un picco a giugno dal quale ci si dovrà scostare con prudenza.
Il terremoto finanziario statunitense richiede infatti prudenza così come i dati ancora molto positivi dell’occupazione europea, stabile sui quasi minimi del 6,7% (aveva toccato un bottom del 6,6% a ottobre), ma che non conta formalmente per la Bce perché non inclusa nel suo mandato (mentre la Fed ha un mandato doppio su prezzi e piena occupazione).
Dati di inflazione persistente sul lato core potrebbero spingere però nei prossimi mesi e decisioni più dure, alzando il terminal rate oltre le previsioni del mercato che però ha rivisto tantissime volte negli ultimi tempi le proprie attese, anche a causa delle continue emergenze e imprevedibili evoluzioni del quadro macroeconomico.
In definitiva la prudenza è d’obbligo e tra tante incertezze la Bce dovrà fornire solidità e autorevolezza, coerenza e chiarezza operativa.
Tutte doti che non sempre ha dimostrato negli ultimi mesi, ma che rimangono essenziali anche per la reale efficacia delle sue decisioni.