Troppo spesso nelle analisi che facciamo siamo soliti ricondurre i fenomeni immobiliari all’evoluzione dei soli fattori congiunturali. La crescita economica, le condizioni di accesso al credito, il livello di fiducia di famiglie e imprese sono senz’altro elementi importanti nell’orientare le oscillazioni delle diverse asset class, ma che non esauriscono di certo il paniere delle determinanti e, soprattutto, poco ci dicono sulle traiettorie di lungo periodo, che dovrebbero essere alla base delle valutazioni di operatori non opportunistici (che nel nostro Paese sono la maggior parte). Per avere una visione più ampia, occorre fare lo sforzo di alzare la testa e aggiungere al novero delle cosiddette variabili veloci, anche talune tendenze strutturali che certamente influiscono sull’orientamento delle tendenze di fondo. Il quadro inevitabilmente si complica, con la modellistica non allenata a gestire l’eterogeneità di input e il disagio che coglie l’analista quando è chiamato a mettere un piede fuori dalla zona di comfort.
Ma come è possibile fare riflessioni sul residenziale senza valutare la strutturalità della perdita di potere di acquisto, la tendenza all’invecchiamento della popolazione, la riduzione del numero medio di componenti per nucleo, l’esigenza di contenimento dei consumi energetici? Oppure come si possono valutare le prospettive del settore direzionale senza interrogarsi sulla ritrovata vitalità dello smart working (che in troppi davamo per morto) o sull’importanza di intervenire sul layout degli spazi per favorire quel contributo di esperienza e condivisione per favorire la retention e arginare l’emorragia di abbandoni e turnover? O ancora come possiamo non chiederci quali modifiche produca l’overtourism sull’offerta commerciale al dettaglio e quali siano le conseguenze sul settore retail dei cambiamenti di stili di vita e di consumo.
Si potrebbe andare oltre chiedendosi se esista un limite fisico ad un’espansione della logistica che pare bulimica, o come l’integrazione ricettiva potrebbe consentire di raggiungere molti obbiettivi, non ultimo l’attenuazione dello stucchevole dibattito sugli affitti brevi che vede troppe amministrazioni impegnate in battaglie di recupero casa per casa di dubbia efficacia, per finire con la golden age che si profila per i data center, in un mondo in cui la quantità e qualità del dato faranno la differenza tra vincere e partecipare, o delle residenze per anziani in un contesto in cui longevità e solitudine cresceranno di pari passo. Che il quadro sia molto più complesso di come talvolta lo dipingiamo ritengo sia evidente a tutti e non vorrei che le mancate domande dipendessero dalla volontà di non mettere in discussione il modello del “qui e ora”.
Poco importa se spremiamo come un limone un residenziale che all’enorme domanda offre un prodotto sempre più lontano dalle esigenze, se le aziende pensano che la soluzione siano generose policy di smart working e non investono tempo e fantasia in un drastico ripensato degli spazi, se lasciamo il commercio al dettaglio abbandonato al destino voluto dal mercato, che ci restituisce città tutte uguali, dove il senso unico pedonale è la via affollata per la sopravvivenza, se droghiamo la logistica perché è moneta urbanistica relegata nelle campagne e per questo lontana dagli occhi, ma che un giorno ci riconsegnerà una parte di quel cemento da smaltire. Il problema non è fare affari, ma farli pensando anche a quelli di domani, possibilmente minimizzando il conto che lasciamo da pagare. Ma forse è meglio tornare a parlare di congiuntura, alla gita fuori porta si addice di più una musica leggera, anzi leggerissima.