CAPITOLO 4 - L'EFFICIENZA DEI MERCATI
4.3 Efficienza valutativa
L'efficienza valutativa implica dunque la verifica dell'effettiva capacità
del mercato di stimare correttamente il valore delle imprese, utilizzando tutte
le informazioni prospettiche su tale valore e trasferendole nei prezzi attraverso
un opportuno tasso di sconto.
In effetti tutti i modelli utilizzati al fine di determinare l'ipotetico valore
d'impresa da confrontare con il prezzo di mercato, si riferiscono alla ben nota
formula dei dividendi in crescita costante, sviluppata nell'ambito del capitolo
relativo appunto all'analisi fondamentale:
(1)
La verifica dell'efficienza valutativa è stata compiuta in due modi: in
primo luogo con la stima econometrica dell'equazione (1), attraverso l'utilizzo
di opportune variabili esplicative per i valori attesi dei dividendi e del
rendimento di equilibrio.
In secondo luogo verificando se la volatilità del prezzo sia compatibile
con la volatilità delle sue determinanti.
Nel primo caso l'efficienza valutativa sarebbe confermata dalla validità
dell'equazione stimata, cioè dall'alta percentuale della varianza spiegata,
dalla significatività dei parametri e dalla correttezza dei loro segni.
Nel secondo caso, l'efficienza è confermata se la volatilità del
prezzo è inferiore alla volatilità massima stimata in base ai valori
effettivi dei dividendi e del tasso di sconto.
Le prime ricerche degli anni '70, che utilizzano il metodo della regressione,
evidenziano effettivamente un collegamento plausibile tra i presunti fondamentali
e le quotazioni azionarie; l'anomalia principale riscontrata è l'effetto
negativo dell'inflazione, come si è visto nei precedenti capitoli, a cui
pertanto si rinvia.
Si diffondono analisi 1 che danno molta
importanza alla distinzione tra componente attesa ed inattesa delle variabili
esplicative da cui risulta che i prezzi incorporano già normalmente tutte
le variabili attese aggiustandosi solo alle componenti inattese.
Dal lato empirico l'individuazione delle due componenti viene fatta stimando
dapprima la componente attesa (tramite modelli econometrici o di analisi delle
serie storiche) e per differenza viene calcolata la componente inattesa.
Al contrario il dibattito successivo si è concentrato su verifiche dirette
dell'efficienza valutativa, con metodi alternativi a quello della stima
econometrica; come osservato in precedenza, con questo secondo metodo l'efficienza
risulta confermata o meno a seconda della più o meno accettabile
volatilità dei prezzi dei titoli.
L'equazione (1), nell'ipotesi semplificatrice che il tasso di sconto sia costante
e tenendo presente che in ogni periodo vale la seguente relazione:
(2)
cioè il valore atteso dei dividendi e dei prezzi è pari al loro valore
effettivo al netto di un errore stocastico, diventa:
(3)
Il prezzo risulta quindi essere uguale al valore attuale dei dividendi futuri (detto
prezzo di previsione perfetta) più il valore attuale degli errori.
L'analisi dell'equazione (3) porta ad accertare l'efficienza valutativa in due modi
(le forme con cui vengono presentati i due approcci alternativi servono solo per
chiarezza, in quanto i modelli statistici sottostanti sono molto più complessi,
in particolare il secondo):
- Test di ortogonalità: si vuole accertare che non siano tra loro
correlati gli errori di stima di ciascun periodo; se lo fossero, ciò potrebbe
essere utilizzato per prevedere i prezzi e quindi il mercato risulterebbe inefficiente.
Si tratta sostanzialmente di accertare se la varianza del prezzo meno quella del valore
attuale dei dividendi sia uguale alla varianza del valore attuale degli errori.
- Limite superiore: la varianza dei prezzi deve essere inferiore a quella dei
valori attuali dei dividendi 2 effettivi; la serie
dei prezzi deve cioè essere più regolare di quella dei dividendi (questo
limite superiore alla varianza dei prezzi indica, se superato, assenza di efficienza
valutativa).
Entrambi i due approcci di verifica dell'efficienza valutativa caratterizzano le
ricerche degli anni '80 con una netta prevalenza di risultati negativi; vengono
determinate
3 varianze eccessive rispetto a
quanto richiesto da criteri di efficienza valutativa.
La validità dei test
alla Shiller è stata peraltro contestata
da ulteriori ricerche della seconda metà degli anni '80 sull'efficienza
valutativa.
Le principali critiche hanno riguardato: la sottovalutazione della varianza teorica
con cui si confronta la varianza del prezzo, dovuta all'uso di un campione finito;
la non costanza nel tempo del rendimento d'equilibrio; la non stazionarietà
di dividendi e prezzi che richiede che i test siano basati su variabili espresse
nelle differenze prime
4; l'eterogeneità
delle aspettative degli operatori.
I successivi risultati di ricerche che abbiano tenuto conto in qualche modo di queste
critiche sono molto più ambigui per quanto riguarda l'efficienza di mercato.
Molte di queste ricerche poi, come si era notato per l'efficienza informativa, non sono
in grado di distinguere tra fattori di inefficienza e variabilità del rendimento
di equilibrio: sono cioè verifiche della
joint hypothesis.
Ad ogni modo una conseguenza empirica e teorica rilevante derivata dall'approccio della
volatilità è la maggior attenzione dedicata successivamente all'andamento
della varianza dei prezzi e alle sue determinanti ed in particolare all'influenza della
variabilità dei rendimenti d'equilibrio e del rischio sulla variabilità
dei prezzi delle azioni.
Si ricorda brevemente come in questo modo si sia ampliato lo studio della relazione che
intercorre tra la variabilità di due variabili, di cui una è funzione
dell'aspettativa dell'altra.
Un nuovo approccio che dà particolare enfasi allo studio
dell'eteroschedasticità delle variazioni dei prezzi sono infatti i modelli
AutoRegressive Conditional Heteroschedasticity (ARCH)
5 e
Generalized AutoRegressive Conditional
Heteroschedasticity (GARCH)
6.
Questi modelli, tramite schemi statistici autoregressivi che descrivono l'andamento
della volatilità attesa, si propongono di spiegarne l'effetto sulla
variabilità dei rendimenti azionari, o più frequentemente delle
componenti inattese dei rendimenti.
1 Rozeff M.S. Money and Stock Prices, Journal of Financial Economics (1974).
2 Poiché il prezzo è una media ponderata dei dividendi, vengono applicati principi di analisi spettrale per porre delle restrizioni sullo spettro dei prezzi che deve essere più concentrato nelle frequenze più basse rispetto ai dividendi.
3 LeRoy SF Porter RD, The present-value relation: Tests based on implied variance bounds, Econometrica (1981);
Shiller R. Do Stock Prices Move Too Much to Be Justify by Subsequent Changes in Dividends?, American Economic Review (1981).
4 Kleidon AW,Bubbles fads and stock price volatility tests: A partial evaluation: Discussion, Journal of Finance (1988).
5 Engle R.F. Autoregressive Conditional Heteroschedasticity with Estimates of the Variance of U.S. Inflation, Econometrica (1982).
6 Bollerslev T. Generalized Autoregressive Conditional Heteroschedasticity, Journal of Econometrics (1986).