CAPITOLO 2 - TECNICHE DI ANALISI FONDAMENTALE
2.1.1 Effetti dellinflazione
A
priori di dovrebbe assumere che i titoli azionari, in quanto rappresentativi
di capitale reale, diano un rendimento d'equilibrio che in termini reali
non varia al variare dell'inflazione. In altre parole, i corsi azionari
dovrebbero allinearsi all'andamento dell'inflazione, salvo aggiustamenti
di breve periodo a causa di inflazione inattesa o condizione d'inflazione
da costi, che deprime il rendimento del capitale.
Inaspettatamente
però, già le prime ricerche (4)
sul mercato americano degli anni settanta, con il metodo della regressione,
trovano che l'inflazione ha un effetto depressivo sul prezzo dei titoli.
Questo problema è stato successivamente approfondito da Modigliani e Cohn
(5); nel loro modello teorico viene
confrontato il valore dell'impresa, con o senza indebitamento, in presenza
ed in assenza di inflazione. Le conclusioni del loro lavoro sono per la
neutralità del fenomeno inflattivo, a condizione che il risultato economico
tenga conto dei necessari correttivi all'ammortamento del capitale e dello
storno dagli oneri finanziari della quota di rimborso del debito reale
dovuta all'inflazione. Per questo motivo, la depressione del valore reale
delle azioni avvenuta durante gli anni settanta può derivare solo da un'errata
valutazione (e quindi da un mercato inefficiente) da parte degli investitori;
o sono stati sottovalutati gli utili, non considerando l'effetto positivo
dell'inflazione sull'indebitamento, oppure è stato per errore utilizzato
un tasso di sconto nominale, anziché reale. Modigliani e Cohn indicarono
comunque una possibile spiegazione alternativa, in linea con l'efficienza
del mercato: l'inflazione influenza anche altre variabili, ad esempio
il rischio, che comunque, anche in assenza di errori di valutazione, deprime
il valore delle azioni.
Questa
seconda interpretazione è stata condivisa anche da Fama (6);
in un regime di politica monetaria che predetermina la crescita della
moneta, un aumento dell'inflazione comporta una riduzione della moneta
in termini reali e quindi un'aspettativa di riduzione della produzione
che deprime i prezzi dei titoli. Dopo aver documentato la relazione negativa
esistente tra attività economica ed inflazione (attraverso un modello
di aspettative razionali applicate alla combinazione della funzione di
domanda di moneta e della teoria quantitativa della moneta di Fisher),
viene provata la relazione positiva tra attività economica e prezzi azionari,
dimostrando in questo modo il meccanismo attraverso il quale l'inflazione
deprime le quotazioni. Un'ulteriore prova di queste conclusioni si ottiene
includendo nell'equazione di regressione per determinare i prezzi azionari,
oltre all'inflazione attesa, anche i tassi di crescita attesi dell'attività
economica; in questo modo l'inflazione perde il suo potere esplicativo,
a riconferma del fatto che il collegamento tra quotazioni ed inflazione
è mediato dall'andamento delle attività economiche.
E'
importante precisare peraltro che, in uno studio sul mercato azionario
italiano (7), è stato riscontrato
un legame mediamente positivo tra corsi azionari e tasso d'inflazione.
Tali risultati sono però stati immediatamente contraddetti da Cohn e Lessard
(8) in un studio sugli effetti dell'inflazione
negli Stati Uniti ed in altri paesi, tra cui l'Italia.
Dopo
l'enunciazione dei risultati di studi prevalentemente di tipo econometrico,
passiamo ad un'analisi comparativa intertemporale tra un indice dei prezzi
ed un indice borsistico, per verificare se effettivamente le conclusioni
che sembrano estremamente plausibili sul piano teorico-statistico sono
confermate anche intuitivamente. A tal fine è possibile riferirsi ad una
analisi (9) di carattere spiccatamente operativo, effettuata
sul mercato americano, che ha raffrontato il Consumer Price Index (indice
dei prezzi al consumo) e il mercato borsistico negli ultimi settanta anni.
Questo arco di tempo è stato suddiviso in nove periodi, ciascuno dei quali
caratterizzato da un determinato tasso d'inflazione; ognuna delle nove
fasi individuate è stata successivamente classificata secondo quattro
categorie principali:
A.
Deflazione: in media il CPI è sceso annualmente del 6,4%.
B.
Prezzi stabili: in media il CPI è sceso annualmente dello
0,2%.
C.
Inflazione su livelli medi: il CPI è aumentato annualmente
del 2,5%.
D.
Inflazione in rapida crescita: il CPI è aumentato annualmente
del 7%.
L'unica
performance negativa corrisponde al periodo di deflazione 1929-32, nel
quale si è registrato uno dei più grandi crolli nei prezzi della storia
della borsa. Considerando però che una tale fase di rapida discesa dei
prezzi non si è più verificata, l'attenzione si sposta sugli effetti dell'inflazione
in forte ascesa: l'indice di borsa fa registrare rendimenti minimi durante
i periodi di decisa crescita dei prezzi (in media il 9,4% nominale, 2,4%
reale), di fronte agli ottimi risultati ottenuti con un inflazione su
livelli medi (in media rendimento annuo nominale 20,1%, 17,6% reale).
CATEGORIA
|
PERIODO
|
INFLAZIONE*
|
AZIONI
|
Deflazione
|
1929-32
|
-6,4%
|
-21,2%
|
Prezzi stabili
|
1921-29
|
-1,3%
|
20,2%
|
|
1934-40
|
1,0%
|
12,2%
|
|
Media
|
-0,2%
|
16,2%
|
Livelli medi
|
1942-45
|
2,5%
|
26,1%
|
|
1949-65
|
2,1%
|
17,5%
|
|
1981-84
|
3,9%
|
16,8%
|
|
1985-90
|
3,5%
|
20,3%
|
|
Media
|
2,5%
|
20,1%
|
Rapida ascesa
|
1940-47
|
6,8%
|
12,3%
|
|
1965-81
|
7,1%
|
6,4%
|
|
Media
|
7,0%
|
9,4%
|
* Tasso calcolato in base al CPI
|
Figura 2.1: Impatto dell'inflazione (su base annua) (10)
Il
fenomeno inflattivo deve quindi essere debitamente tenuto in considerazione
nel determinare l'ipotetico valore intrinseco del titolo quotato; infatti
un'impennata nel livello generale dei prezzi può deprimere inopinatamente
le quotazioni, inficiando a priori la più accurata analisi aziendale.
Il
primo passo per seguire le indicazioni fornite dall'andamento dell'inflazione
è capire quali siano gli indicatori atti a misurarla e le loro implicazioni
per l'analisi.
Il
dato più comunemente utilizzato è certamente l'indice dei prezzi al consumo
(Consumer Price Index), che esprime il tasso di variazione percentuale
dei prezzi di un particolare paniere di beni di consumo riferito al mese
o ai dodici mesi precedenti.
Alcuni
analisti preferiscono considerare il cosiddetto core rate dell'inflazione,
cioè il tasso di variazione dell'indice dei prezzi al consumo depurato
dagli elementi più volatili, quali le componenti energetiche ed alimentari.
Tuttavia
il rapporto tra CPI e mercato azionario si instaura solo nel lungo
periodo e per questo può essere poco utile ad un approccio di tipo previsivo.
Una delle ragioni è che esso viene calcolato su di un paniere composto
da molte voci che determinano la lentezza delle variazioni e la difficoltà
nel seguirle sistematicamente. Poi l'indice punta tendenzialmente al rialzo,
in quanto le imprese diminuiscono i prezzi al consumo molto raramente,
a meno che non vi siano costrette dalla concorrenza.
Un
altro indicatore comunemente usato è il deflatore del Prodotto Interno
Lordo, che mostra in che percentuale la crescita del PIL è legata all'aumento
dei prezzi. Negli Stati Uniti i dati relativi vengono diffusi trimestralmente,
ma sono poco affidabili in quanto risultato di una serie di calcoli che
vengono continuamente aggiornati, anche a distanza di mesi. Anche il deflatore
del PIL si rivela essere quindi una valido indicatore dell'andamento generale
dei prezzi sul lungo periodo e dopo i necessari aggiustamenti.
Gli
indicatori esaminati si riferiscono al passato, mentre lo scopo previsivo
dell'analista deve riferirsi necessariamente alle tendenze in via di sviluppo;
per questo motivo può essere molto utile avvicinarsi maggiormente alla
fonte dei prezzi, utilizzando ad esempio l'indice dei prezzi alla produzione
(Producer Price Index), che può fornire indicazioni anticipate
rispetto all'indice dei prezzi al consumo.
Una
variante del PPI è il CPPI (Commodities Producer Price
Index), indice dei prezzi alla produzione di tutte le commodities,
che è stato utilizzato nel confronto con l'indice Standard & Poor
400 di Figura 2.2. Viene analizzato l'arco di tempo degli ultimi 75
anni, paragonando il tasso di variazione annuale del CPPI e la
performance dello S&P 400 nei dodici mesi successivi. Come appare
evidente le variazioni di questo indice dei prezzi precedono sempre i
movimenti dei titoli in borsa e dunque il CPPI si rivela un valido
indicatore dell'inflazione nel lungo periodo.
Indice prezzi produzione commodities (CPPI)
|
Indice S&P 400 dopo 12 mesi
|
inferiore a -2
|
+12,8
|
da -2 a -1
|
+17,5
|
da -1 a 0
|
+14,5
|
da 0 a 1
|
+13,4
|
da 1 a 3
|
+11,4
|
da 3 a 5
|
+4,5
|
superiore a 5
|
+3,5
|
|
|
Tasso
di variazione del CPPI su 12 mesi come anticipatore dell'andamento
annuale di S&P 400
|
Figura 2.2: Mercato azionario e prezzi delle commodities (11)
Spesso
però è necessario riferirsi ad un orizzonte temporale di medio termine,
per sapere come si comporteranno i titoli nell'arco di uno o tre anni.
A questo scopo si è dimostrato efficacie un altro tipo di indicatore,
costituito dalla differenza tra l'indice dei prezzi al consumo (CPI) calcolato
su base annuale e l'indice dei prezzi alla produzione delle commodities
(CPPI), anch'esso su base annua. Il risultato è essenzialmente un indicatore
dei margini di profitto aziendali (in particolare per le aziende che si
riferiscono al consumatore finale), ovvero la differenza tra costo per
i consumatori (CPI) e costi di produzione sostenuti dalle imprese (CPPI).
Più
sono ampi i margini di profitto, e quindi la redditività dell'azienda,
maggiore è il potenziale incremento degli utili e verosimilmente migliore
è la performance dei titoli (si veda per una conferma la Figura 2.3).
Indice prezzi consumo/alla produzione commodity
|
S&P 400 nei 12 mesi successivi
|
superiore a 5
|
25,7
|
da 3 a 5
|
17,3
|
da 2 a 3
|
11,6
|
da 0 a 2
|
8,6
|
da -5 a 0
|
5,8
|
inferiore a 5
|
-5,6
|
|
|
La
differenza tra i tassi di variazione di CPI e CPPI è un anticipatore
di S&P 400 su base annua
|
Figura 2.3: CPI,CPPI e S&P 400 a confronto (12)
I
titoli vanno meglio nei dodici mesi successivi a quando il tasso di variazione
del CPI supera di almeno cinque punti percentuali il tasso di variazione
del CPPI; ma nel caso opposto, con indice alla produzione delle commodities
maggiore di cinque punti percentuali rispetto all'indice dei prezzi al
consumo, i rendimenti azionari sono addirittura negativi.
Ricapitoliamo
brevemente il percorso logico intrapreso; siamo partiti dalla constatazione
che l'inflazione in rapida ascesa può condizionare negativamente l'andamento
delle quotazioni. Per questa ragione è importante conoscere come individuarne
le tendenze evolutive; a tale scopo si sono passati in rassegna alcuni
indicatori del fenomeno inflattivo, quali CPI, deflatore del PIL,
PPI, CPPI e l'indice costituito dal rapporto CPI/CPPI,
evidenziandone le caratteristiche positive e negative.
Ora
è giusto riproporre uno dei principi che l'analista finanziario dovrebbe
sempre considerare nell'effettuare le proprie previsioni: affidarsi esclusivamente
ad un indicatore può indurre a commettere passi falsi, perché non permette
di avere un quadro completo della situazione. Nella fattispecie considerare
solo l'indice dei prezzi alla produzione delle commodities non
consentirà di avere un'idea precisa delle potenzialità in merito ad una
crescita sostenibile. Per questo è necessario descrivere ancora alcuni
indicatori diffusi ed utilizzati negli Stati Uniti, perché nel complesso
possa essere delineata la situazione in cui verrà a trovarsi il sistema
economico e, di conseguenza, il mercato azionario.
Questi
indicatori ulteriori si fondano entrambi sui prezzi delle commodities;
però, a differenza dell'indice dei prezzi alla produzione delle commodities
( CPPI ), non includono costi di imballaggio o di trasporto delle
merci oppure di pubblicità. In questo modo possono rispondere in genere
più rapidamente delle altre componenti ai cambiamenti nel sistema economico.
I prezzi delle merci derivano questo loro spiccato carattere di anticipo
rispetto all'inflazione, soprattutto perché costituiscono i fattori della
produzione: pertanto, un rincaro delle commodities innesca un meccanismo
di aumenti a cascata per tutta un'altra serie di altri prodotti o servizi.
E'
evidente il caso dell'aumento del prezzo del petrolio, la commodity
per antonomasia: rincara la benzina, di conseguenza aumentano i costi
dei mezzi di trasporto, che a loro volta fanno incrementare i prezzi delle
merci trasportate e così via. Analoghi effetti vengono innescati dall'aumento
del prezzo del grano, metalli, cotone, carta,...
L'impatto
negativo sui titoli dipende da quante e quali commodity registrano
contemporaneamente un aumento dei prezzi; l'impatto è minimo se la crescita
riguarda una sola commodity, ad eccezione forse del petrolio. Solo
un aumento generalizzato dei prezzi può dunque determinare una spinta
inflattiva.
Il
modo migliore per misurare l'andamento dei prezzi sarà quindi quello di
considerare un indice comprensivo dei prezzi di svariate commodities.
Uno degli indici di questo tipo più seguiti è il Commodity Research
Bureau (CRB), che comprende i prezzi dei contratti future
relativi a 21 commodity. Nonostante la sua diffusione ed il suo
indubbio valore informativo, tale indice non è esente da alcune critiche;
riferendosi infatti a contratti future, non può che riflettere le previsioni
degli investitori sulle future tendenze dei prezzi delle commodities.
In secondo luogo il CRB comprende alcune componenti il cui prezzo
non ha un forte impatto sul sistema economico, per cui una variazione
dell'indice potrebbe essere anche poco significativa.
Le
critiche suddette hanno indotto alcuni analisti ad utilizzare un indice
a pronti che riportasse i prezzi di importanti commodities; l'indice
dei prezzi industriali elaborato dal Bureau of Labor Statistics (BLS)
soddisfa entrambe queste caratteristiche. Le voci dell'indice sono 13,
ciascuna delle quali esercita un forte condizionamento sull'economia.
Basta prendere in esame i dati di Figura 2.4 per capire che le forti impennate
dei prezzi delle commodity segnalano, forse meglio di qualsiasi
altro indicatore, l'imminente pericolo di una tendenza al rialzo dell'inflazione.
Il più delle volte questo è il momento di uscire dal mercato.
Indice BLS
|
Indice S&P 400
|
più del 40%
|
-21,9%
|
da 30 a 40
|
-0,2%
|
da 20 a 30
|
+1,6%
|
da 10 a 20
|
+4,4%
|
da 5 a 10
|
+7,2%
|
da 0 a 5
|
+4,1%
|
da -5 a 0
|
+6,9%
|
da -10 a -5
|
+16,3%
|
da -10 a -20
|
+24,1%
|
meno del -20%
|
+6,3%
|
|
|
Variazioni
su base annua di BLS prevedono la performance di S&P
400 a 12 mesi
|
Figura 2.4 : Indice BLS e quotazioni azionarie (13)