Da ieri pomeriggio, post pubblicazione del dato sull’inflazione in USA, gli operatori non hanno più dubbi: il processo di rialzo dei tassi di interesse da parte della FED è terminato e la prossima mossa sarà un taglio, atteso per il prossimo luglio, di 50 bp.
Ieri nelle sale operative si è vissuto un clima da “vittoria dei mondiali di calcio”. Persone sorridenti ed euforiche circolavano tra i desk ormai certi che “the worst is over” e che la FED tornerà presto ad essere “amica dei mercati”.
E tutto questo per un dato sull’inflazione che ha mostrato solo un timido miglioramento rispetto alle stime, confermando, tuttavia, il trend discendente dei CPI, verso l’obiettivo del 2%, che comunque, (è bene evidenziarlo) rimane ancora piuttosto lontano. Il dato headline è scivolato al 3.2% dal precedente 3.7% contro attese al 3.3% grazie ad un andamento flat dei prezzi nel mese di ottobre. Il dato core, tuttavia, pur mostrando un lieve miglioramento dal dato precedente (dal 4.1% è sceso al 4%) rimane ancora piuttosto elevato ed indica che ancora c’è da fare prima di arrivare al target del 2% fissato dalla FED. Il rialzo dei CPI core su base mensile è stato dello 0.2%, più contenuto rispetto alle attese (+0.3%).
Questi dati hanno spinto gli operatori a pensare che ormai l’inflazione sia decisamente in una fase di discesa, che il peggio sia passato, che la FED non dovrà più alzare i tassi, ma che piuttosto dovrà abbassarli.
Ed i movimenti del mercato, tutto, sono stati molto vistosi, per certi versi adrenalinici. Finalmente.
E cosi ad esempio il dollaro ha realizzato una perdita giornaliera che non realizzava dal 2022. Il biglietto verde è sceso non solo contro euro portandosi in pochi minuti a 1.087 ma anche contro le altre principali divise. Sul biglietto verde si è assistito ad un vero e proprio panic selling, tutti sono corsi a chiudere le scommesse al rialzo che avevano aperte da mesi e che pensavano di poter chiudere tranquillamente nel tempo. Invece, il movimento è stato improvviso, movimento tipico del processo di unwind delle posizioni quando il mercato è posizionato in modo convinto da un lato ed è costretto a rivedere velocemente la propria view.
Altro movimento vistoso è stato quello della curva USA. Dalle scadenze a breve a quelle a lunga, tutti i bond sono saliti, con relativa contrazione dei rendimenti impliciti. Il rendimento del Treasury a 2 anni è letteralmente crollato passando dal 5.04% al 4.82% in pochissimo tempo.
Movimento parallelo al ribasso per i rendimenti del treasury a 10 anni che sono scesi al 4.44% dal 4.64% pre dato. Il rendimento del trentennale, invece, si e’ mosso meno passando dal 4.74% al 4.61%.
Tali movimenti si sono poi riversati sulla curva swap che ha prezzato subito una FED più accomodante il prossimo anno.
Ma quanto accomodante? tanto. Il mercato prezza ora un taglio di 50 bp a luglio e di 100 bp nell’intero 2024.
Tagli di tali entità, se rispecchiati su un movimento parallelo della curva dei rendimenti possono portare a rialzi del decennale nell’ordine del 10% e del trentennale nell’ordine del 30%.
Interessante notare poi quanto avvenuto nel mercato azionario.
Il movimento di ieri è stato un misto tra ricoperture di posizioni short e acquisti long. In pratica hanno comprato tutti.
Questo lo si capisce dal fatto che: lo S&P500 equipesato ha performato meglio dello S&P500, che il Russel 2000 e’ salito di oltre il 5%, che i titoli “most shorted” sono rimbalzati in modo molto forte assieme all’indice delle regional banks in rialzo del 6%. In pratica, i fondi hedge hanno chiuso gli short e hanno aumentato le long positions, i fondi long sono corsi a comprare. Anche i più scettici sono stati costretti a farlo pena la perdita del treno.
Ma di che treno stiamo parlando? Di un treno al rialzo che statisticamente sembra avere solo che conferme.
La storia delle performance dello S&P500 “afferma” che quando lo S&P500 è stato in rialzo di più del 5% a fine novembre, allora esso è (quasi) sempre salito nel mese di dicembre e quando non lo ha fatto, la perdita è stata nell’ordine dell’1%. In sintesi, il rally di Natale è partito ed in molti se lo stanno perdendo.
Il pattern settoriale conferma quanto detto sopra.
I movimenti al rialzo piu’ marcati sono stati registrati dal settore del real estate seguito dal settore delle utilities. Trattasi dei worst performers da inizio anno. Difensivi quali consumer staples e Healthcare hanno sottoperformato assieme al settore OIL che è ancora appesantito da una reporting season a dir poco deludente. Il comparto tech e’ salito, ma non poi cosi tanto. Esso aveva gia’ guidato i rialzi della scorsa settimana. Ieri ha beneficiato di alcuni acquisti di coda.
L’analisi della performance del mercato azionario nella seduta di ieri ci dice molto su cosa ci aspetta nelle prossime settimane. Probabilmente, se il rally di Natale continuerà, esso sarà ancora un misto di short covering e di acquisti da parte dei fondi long. Questo si tradurrà da un lato in un’iniziale sovra performance dei laggard (real estates e utilities) a cui si accosterà una sovra performance dell’indice Russel2000 e dello S&P500 equipesato. In pratica sara’ un rally meno circoscritto ai titoli conosciuti come i magnifici 7. Sarà, finalmente, un mercato più democratico e più normale.
Finisco questo report con una puntualizzazione. Questo rally crea un problema alla FED. Rende le financial conditions meno tight, e se noi le allentiamo comprando tutte le asset class (da bond ad azioni) la FED dovrà ritirarle, continuando a mantenere toni piuttosto hawkish. Quindi, non aspettatevi una FED dovish nei prossimi mesi perché’ non potrà permetterselo, la dovishness che ci aspetteremmo da Lei l’abbiamo già messa noi nel sistema con i nostri esuberanti (e forse prematuri) acquisti.
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