E’ meglio investire su pochi titoli o diversificare il più possibile?

Paolo Belvederesi Paolo Belvederesi - 21/09/2023 12:15

Solo un fondo su migliaia è riuscito a superare il Nasdaq 100 negli ultimi cinque, dieci e quindici anni, e ciò è stato ottenuto investendo in un numero molto limitato di aziende.

Ron Baron, un veterano di Wall Street di 80 anni, che gestisce ancora il fondo, attribuisce il suo successo a una combinazione di fede in imprenditori come Elon Musk e al fatto di monitorare costantemente le aziende nel suo portafoglio. Tuttavia questa strategia di scommettere pesantemente su pochi titoli non funziona sempre, tutt’altro! Essa ha una probabilità di successo estremamente basse per la maggior parte dei gestori di fondi. Potremmo dire che e’ un eccezione.


Uno studio condotto da Antti Petajisto, ex professore dell'Università di New York e gestore quantitativo, dimostra che la maggior parte degli sforzi di questo genere solitamente fallisce perché ci sono troppo poche azioni vincenti sul mercato per far sì che questa tattica funzioni, eccetto in casi rari.
 

Il dibattito sull'attività di gestione degli investimenti è dominato dalla constatazione che le posizioni azionarie concentrate sono più propense a sottoperformare che a sovraperformare il mercato nel lungo termine. Questo trend sembra intensificarsi nell'economia moderna dove il successo è sempre più concentrato su poche aziende. E ovviamente i winners si conoscono solo a posteriori! Vi dò alcuni numeri: dalla global financial crisis il mercato USA è salito di sei volte ma questo rialzo e’ avvenuto solo grazie alla performance stellare di una manciata di titoli. E questo si è ripetuto anche quest’anno. Nel 2023 il Russel 3000 è in rialzo del 15% ma se si prendono i rendimenti medi di tutti i titoli, senza pesarli in base alla market cap il rendimento è negativo! (-0.7%). Oltre la metà dei titoli del paniere, lo ripeto, oltre la metà è in ribasso da inizio anno! E se pensate che la cosa sia confinata al Russel 3000 vi sbagliate. La differenza di performance tra lo S&P500 equipesato e lo S&P500 è stata pari a 12 punti percentuali nel 2023, la più grande sottoperformance dal 1998.
 

Ciò mette in difficoltà i gestori attivi, poiché se seguono l'indice, replicando i pesi dei titoli in portafoglio con i pesi dell’indice non possono giustificare i loro costi più elevati, ma se si discostano dall'indice rischiano di perdere i grandi guadagni di aziende come Nvidia e Tesla.

Ora con il senno di poi sappiamo che per performare bene nel 2023 era sufficiente stare lunghi dei magnifici 7. Ma quanti fondi hanno comprato tutti i magnifici 7? Stando alle statistiche di bloomberg, solo il 18% dei fondi ha in portafoglio i best 7, mentre il 21% dei gestori non ne ha nemmeno uno!

Il parere di noi di Zeygos è che l’avvento degli ETF inasprirà nel tempo questo fenomeno. I Big 7 sono ormai su tanti, tantissimi ETF, con pesi elevati, proprio perché’ si segue la regola della market cap, che obbliga chi gestisce un ETF a comprare grandi quantità dei titoli in questione proprio perché’ pesano molto. Il risultato è che, tanto più i magnifici 7 compaiono su un numero elevato di ETF, tanto più beneficeranno di flussi aggiuntivi nelle fasi di rialzo, flussi che spingeranno al rialzo i prezzi aumentando ulteriormente la market cap… 


La combinazione di ETF e regola della market cap è genera un meccanismo perverso che finisce per creare dei mostri aziendali, delle aziende leader per ogni settore di riferimento.

Fateci caso, i titoli dei magnifici 7, di fatto sono ognuno specializzato su un settore e sono ormai dei colossi talmente grandi che potrebbero comprare con le loro azioni qualsiasi altra società al mondo. Mi spiace ma l’analisi fondamentale qua non c’entra. Ci sono interessi economici molto più grandi. Se poi il gestore medio non performa, pazienza.

 

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