Trivella scatenata

Maurizio Mazziero Maurizio Mazziero - 03/05/2017 13:53

È quasi del tutto scomparso l’entusiasmo sul petrolio e le quotazioni stancamente barcollano tra 48 e 54 dollari senza una direzione precisa.





Le sedute dell’ultima ottava sono state poco mosse, terminando appena sopra i 49 dollari per barile. È fisiologico che in questa settimana giunga un aumento della volatilità, con i prezzi che tenderanno verso il supporto di 47,50 o verso la zona di resistenza compresa tra 50,50 e 51,50.

Nel medio termine non dovrebbero comunque esservi sorprese: è probabile che le quotazioni restino nella fascia di oscillazione compresa tra 47,50 e 55 dollari, un’escursione di circa il 15 percento che consente comunque ai trader sul mercato fisico di “sbarcare il lunario”.

Da parte dell’OPEC, a margine dell’International Oil Summit svoltosi a Parigi il 27 aprile, si esprime soddisfazione per il raggiungimento a marzo del 94 percento di conformità nel taglio di produzione, constatando nel contempo che “il mercato ha mutato sentiment da inizio marzo” pur in presenza di un abbassamento delle scorte di 40 milioni di barili nel primo trimestre dell’anno.

Un calo di scorte che, raffrontato con l’accumulo di 1-1,5 milioni di barili al giorno per un anno e mezzo, appare di modesta entità e che resta fragile se osserviamo i dati di domanda e offerta dell’OPEC.




Infatti il mercato continua, pur frazionalmente, a presentare un surplus di produzione e il deficit potrebbe presentarsi solo dal secondo semestre, purché si avverino le stime di aumento della domanda.

Diventa quindi plausibile che nel prossimo meeting OPEC del 24 maggio a Vienna venga approvata l’estensione di ulteriori sei mesi, sino a fine 2017, del contingentamento produttivo.





Dall’altra parte dell’Oceano, la produzione degli Stati Uniti continua ad aumentare avvicinandosi ai livelli del pre-dumping Saudita; occorre notare che ciò avviene in uno scenario completamente differente, con prezzi del barile che sono la metà di quelli che correvano nel giugno 2014.

La ragione sta nel miglioramento tecnologico, che permette di riaprire pozzi esausti o di abbassare il costo di produzione; un fenomeno che riguarda in modo significativo i due maxi giacimenti texani di Permian e Eagle Ford (zone in colorazione marrone e viola nel grafico precedente).




Osservando la cartina degli impianti di estrazione in Texas, suddivisa per contee, si può notare come l’incremento di pozzi sia stato numericamente molto più consistente delle chiusure e molto probabilmente questa tendenza continuerà anche nei prossimi mesi.

Concludendo, a costo di ripeterci, il livello attuale di prezzi è in linea con l’attuale domanda e offerta, sebbene le aspirazioni dell’OPEC sarebbero quelle di riportarlo al di sopra dei 60 dollari.

Con un mercato ormai molto raffreddato, all’OPEC non resta che un “colpo d’ala” per far riaccendere gli entusiasmi: ridurre la produzione, insieme ai paesi extra-OPEC firmatari dell’accordo, di un ulteriore 20 percento, portando il contingentamento da 1,8 a 2,2 milioni di barili. Ci riusciranno?
Lo commenteremo insieme nel corso degli appuntamenti all’ITForum di Rimini il prossimo 18 e 19 maggio.


Maurizio Mazziero
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