Un gennaio a due velocità quello dell’oro, con un rialzo dell’11% e un ripiegamento di 50 dollari l’oncia nel corso degli ultimi dieci giorni.
La rivisitazione dei 1.250 dollari l’oncia era fisiologica dopo il rialzo delle prime due decadi di gennaio; la forza del movimento positivo è rimasta comunque intatta e nella seduta di venerdì scorso l’oro è tornato ad agganciare la zona dei 1.280 dollari.
Nel complesso però, il quadro d’insieme non presenta ancora la necessaria solidità per poter tentare un nuovo attacco dei 1.300 dollari, che nel caso venisse respinto potrebbe preludere a un doppio massimo; il completamento di questa figura classica potrebbe attirare numerose vendite con la possibilità di spingere le quotazioni verso i 1.200 dollari.
Meglio quindi sarebbe un po’ di pausa, con un consolidamento in zona 1.250-1.280 dollari, dando il tempo alla trendline rialzista (linea blu inclinata positivamente) di avvicinarsi alle quotazioni e alle medie mobili 50 e 200 (linee curve blu e rossa) di effettuare l’incrocio rialzista (Golden cross) che potrebbe avvenire nella seconda settimana di febbraio.
Quindi fase interlocutoria per il momento, con diverse evoluzioni possibili; se però osserviamo l’andamento delle quotazioni per l’investitore europeo, notiamo che, complice la forza del dollaro, il quadro di insieme è molto più positivo e i tratti di un andamento rialzista appaiono molto più solidi.
Ovviamente non dobbiamo essere tratti in inganno da questo grafico, dato che l’analisi dei prezzi va sempre fatta sul derivato principale e nella valuta di quotazione; ma possiamo comunque dire che per gli investitori del vecchio continente l’oro ha svolto la funzione di bene rifugio, contrastando in qualche modo la svalutazione dell’euro rispetto al dollaro.
Riportiamo di seguito anche un aggiornamento sul rimpatrio di oro da parte della Deutsche Bundesbank; come si ricorderà la banca centrale tedesca, constatando le difficoltà di procedere a un controllo del proprio oro nelle camere blindate della Fed, aveva deciso di riportare in patria una consistente percentuale dei propri lingotti.
L’operazione era iniziata sottotono nel 2013, con sole 5 tonnellate rimpatriate da New York; mentre nel contempo alcune voci riportavano la contrarietà degli Stati Uniti sullo svolgimento dell’operazione.
Anche nel caso queste ipotesi fossero state realistiche, possiamo affermare che sono state superate visto che nel 2014 sono state trasferite 85 tonnellate da New York, oltre al rimpatrio di altre 35 tonnellate dalla Francia.
L’aspetto interessante è che il rimpatrio dell’oro della banca centrale tedesca potrebbe non restare un fenomeno isolato, anzi potrebbe essere d’ispirazione per altri Paesi; emblematico a tal riguardo il rientro da New York di ben 122,5 tonnellate da parte della banca centrale olandese, svoltosi con molta discrezione sul finire dello scorso anno.
Come si può osservare le banche centrali continuano, seppur sotto traccia, ad esercitare un ruolo attivo nel mercato dell’oro e questa è la conferma più evidente che anche nell’era dei Quantitative Easing il metallo giallo continua a costituire una riserva di valore, tanto più sicura quanto custodita in Patria.
Maurizio Mazziero
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