Petrolio in rialzo: l’ottimismo di Citi e lo stress su Eni

Rossana Prezioso Rossana Prezioso - 09/04/2019 11:45

Sarà il caos Libia, i punti interrogativi presenti su Iran e Venezuela oppure la volontà dell’Opec di tagliare la produzione, sta di fatto che il petrolio ha ricominciato a salire.
 

Petrolio: le quotazioni

Il Brent ormai sembra essersi avviato verso i 70 dollari al barile. La conferma arriva nella mattinata di oggi con un livello che ha toccato i 70,47. Il suo collega statunitense, invece, resta leggermente più indietro ma anche per lui le previsioni sono ottimistiche. Il suo livello, infatti, è arrivato a 63,38 e potrebbe anche rafforzarsi ulteriormente. Almeno questa è la view di Edward Morse, responsabile globale della ricerca sulle materie prime per Citi Group che offre una previsione improntata al rialzo. A supportare la sua tesi, anche quel 20% dall’inizio del 2019 registrato da entrambi i benchmark di riferimento.
 

Eni sotto pressione

Un risultato che potrebbe ricevere un’ulteriore spinta proprio dalle numerose incertezze presenti sul mercato. Incertezze i cui nomi sono Iran, Venezuela e Libia. Ma in quest’ultimo caso si deve evidenziare un problema. In particolare per Eni che, a causa della sua esposizione nel paese (il 15% della sua produzione upstream deriva proprio dalla zona libica) in queste ore è sotto pressione a Piazza Affari. Intorno alle 11.20, infatti, il cane a sei zampe perdeva lo 0,6%, un andamento che si trascinava dietro anche Saipem (-0,22%) e Tenaris (-0,16%). Ma per Eni il problema è anche più articolato. Già dalla fine della settimana scorsa, infatti, i vertici hanno deciso, in via precauzionale, di evacuare il personale presente in zona. Ad ogni modo da Eni arriva un messaggio rassicurante. Come si legge infatti nel comunicato, “la situazione nei campi è sotto controllo e stiamo monitorando l'evolversi della situazione con molta attenzione”. Non è la prima volta che accade una cosa del genere e gli analisti fanno notare da più parti che, qualora si dovessero registrare dei cali sulle forniture libiche, ci saranno sicuramente delle compensazioni da parte dell’ampio ventaglio di giacimenti che sono in mano al cane a sei zampe.
 

Petrolio: Trump deve rassegnarsi. Per ora

Ma sul quadro internazionale, Libia, Iran, Venezuela e Opec sono tutte variabili che si faranno sentire tra il secondo e il terzo trimestre dell’anno e che potranno spingere il mercato più in alto. Anzi, in realtà, facendo le proporzioni, sono più numerosi i fattori che spingono le quotazioni del petrolio al rialzo che non quelle al ribasso. Con buona pace del presidente Usa Trump, da sempre nemico del caro-barile. A quanto pare i tweet con cui, caso unico nella storia, interferiva sulle performance della materia prima, potrebbero essere sul punto di perdere efficacia. Infatti l’Opec, in accordo con alcuni altri produttori esterni, tra cui la Russia, ha raggiunto un accordo per il taglio generalizzato della produzione scatenando le ire dell’inquilino della Casa Bianca il quale, in un tweet ha insistito affinché l’organizzazione riaprisse i rubinetti. Il motivo? Secondo quanto da lui scritto: “i mercati mondiali sono fragili, il prezzo del petrolio sta diventando troppo alto”.


Articolo a cura di Rossana Prezioso
 

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