Tra il serio ed il faceto (molto più serio che faceto) nei giorni scorsi il presidente Usa Donald Trump ha avanzato l’idea di comprare la Groenlandia. Ben più seria (e per nulla faceta) è stata la risposta del primo ministro danese Mette Frederiksen le cui parole non lasciavano dubbi: la Groenlandia non è in vendita.
Il no più che netto della Danimarca
Non solo, ma l’aggiunta era ancora più netta: la Groenlandia non è della Danimarca. E’ della Groenlandia. La specificazione deriva dal fatto che il territorio conteso, in realtà è un territorio che, sebbene appartenga di fatto alla Danimarca, dal 1979 gode di ampia autonomia. Un’autonomia che però, per le casse di Copenaghen, risulta essere costosa. Immediata la contro risposta di Trump il quale, dopo aver in un primo momento ringraziato (ironicamente) il primo ministro danese “per aver fatto risparmiare tempo e denaro agli Usa con una risposta netta e diretta”, l’ha poi criticato definendo quella stessa risposta come “cattiva”e d aggiungendo che “non si parla così agli Usa”. Un’osservazione che, a questo punto, potrebbe essere diretta anche alla posizione “di sorpresa” espressa dai regnanti danesi.
Cosa c’è dietro?
Secondo Trump, l’eventuale chiusura del contratto, sarebbe stata un ottimo affare immobiliare per gli Stati Uniti. Ma a ben guardare non è solo Washington che è interessata (seriamente) all’isola di neve e ghiaccio. Come si sa le apparenze ingannano ed è proprio per questo che la Groenlandia è molto più importante (ed in pericolo) di quanto si creda. I motivi per cui tutti si interessano a questa enorme isola finora dimenticata sono molteplici. Il primo, quello ufficiale, sarebbe una “semplice” continuità territoriale che Washington gradirebbe: da un punto di vista geografico la Groenlandia è di fatto molto più vicina agli States che alla madre patria danese. La popolazione non raggiunge nemmeno le 60.000 persone (praticamente la popolazione di Benevento).
La questione ambientale
In realtà, però, si pensa al crescente valore strategico della Groenlandia, valore strettamente legato alle nuove rotte marittime del Nord Atlantico che si stanno aprendo in conseguenza dello scioglimento delle calotte polari. Il che pone una domanda: come si può pretendere che i governi nazionali si applichino per combattere lo scioglimento dei ghiacciai quando proprio da questo scioglimento trarrebbero enormi profitti? Inoltre non bisogna dimenticare che la massa di terra della Groenlandia, in gran parte ricoperta di ghiaccio, è anche ricca di immani risorse naturali ancora non sfruttate. Si parla di oro, zinco, piombo, ferro e persino diamanti. Risorse che sarebbero ancora più facili da controllare senza lo stato di permafrost. Così come molto più facile sarebbe aprire nuove e più convenienti rotte attraverso i ghiacciai ormai sciolti.
Non solo Usa
Ed è per questo motivo che non solo gli Usa ma anche Cina e Russia hanno messo gli occhi sull’immensa isola di ghiaccio. La Nuova Via della Seta, infatti, vedeva anche la Groenlandia tra i destinatari delle sue infrastrutture (autostrade, porti e scali marittimi) che Pechino sta creando in tutto il mondo. Si tratta, alla fine, di una rete anche di investimenti e, di conseguenza, di influenza finanziaria. Un obiettivo, quello della cooperazione in Groenlandia, che è poi stato cancellato per via del no delle autorità danesi preoccupate non solo per l’interesse specifico di Pechino ma anche per la vicinanza con la base aerea statunitense di Thule, la più settentrionale degli States, creata dopo un accordo con Washington del 1953.
Articolo a cura di Rossana Prezioso
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