Oro bollente

Maurizio Mazziero Maurizio Mazziero - 05/09/2017 17:41

Nuovi massimi di periodo per l’oro che nella scorsa settimana ha superato i 1.300 dollari l’oncia, dopo un rialzo che in meno di due mesi l’ha portato da 1.204 a 1.326 dollari con un guadagno del 10%.

Questo rialzo è alimentato da due forze:

  1. Una spinta di medio termine, legata alla correlazione inversa tra oro e dollaro e guidata dalla recente debolezza della valuta.
  2. Una pressione di breve termine, legata all’aumentata percezione dei rischi geopolitici a seguito degli esperimenti missilistici e nucleari della Corea del Nord.

 

 

Se osserviamo infatti l’andamento congiunto dell’oro e del cambio euro/dollaro notiamo che le due asset hanno proceduto di pari passo da inizio luglio sino al 10 agosto, come appare dalla stabilità della linea grigia del grafico sopra. In questo primo periodo, il rialzo dell’oro è stato quasi interamente determinato dalla debolezza del dollaro.

Dal 10 agosto la correlazione inversa tra oro e dollaro si è allentata sino a sganciarsi quasi completamente nell’ultima settimana, con un rafforzamento sia dell’oro che del dollaro.

La forza del metallo prezioso è alimentata dalle minacce del leader nordcoreano Kim Jong-un di attaccare le basi militari statunitensi dell’Isola di Guam nel Pacifico e nella risposta di Donald Trump di rispondere con “fire and fury”, letteralmente “fuoco e furia”.

Tensioni verbali esacerbate dal lancio, ad inizio di settimana scorsa, di un missile da parte di Pyongyang che nel suo percorso di 2.700 chilometri ha sorvolato l’isola giapponese di Hokkaido, prima di inabissarsi nell’Oceano Pacifico. La nuova ottava di borsa, inoltre, subirà la reazione dei mercati al nuovo test di una potente bomba ad idrogeno destinata ad armare un missile intercontinentale.

Al di là delle continue mosse bellicose di Kim Jong-un, l’intera area dell’est asiatico è a forte rischio geopolitico, per le rivendicazioni di controllo navale da parte di un folto gruppo di nazioni, oltre alle superpotenze RussiaCina e Stati Uniti e dove Washington potrebbe rischiare di perdere nel corso del tempo alcune basi strategiche sin qui controllate.

Tornando all’oro, il primo semestre del 2017 ha visto il ritorno in forza degli acquisti da parte delle banche centrali che, dopo un 2016 fiacco e in sensibile contrazione, hanno acquistato nel solo primo semestre 174 tonnellate, oltre il doppio dell’intero anno scorso.

Principali artefici di questi acquisti sono la Russia, per 100 tonnellate, e il ritorno in forza della Turchia, dopo le vendite del 2016, con 79 tonnellate; seguono acquisti e vendite di altri stati che si compensano fra loro, mentre resta totalmente assente la Cina che è tornata a non dichiarare le operazioni in oro.

Non si riduce, quindi, l’attenzione delle banche centrali nel metallo prezioso e lo conferma anche il completamento, con tre anni di anticipo, del programma di rimpatrio del proprio oro da parte della Deutsche Bundesbank, intenzionata a detenere entro i propri confini il 50% delle riserve aurifere.
 


 

Cosa potrà accadere alle quotazioni da qui a fine anno?

Sicuramente il destino è legato agli aspetti geopolitici; non ci aiuta invece la stagionalità che indica un 2017 abbastanza simile al 2014 e che lascerebbe intravedere la possibilità di una discesa verso le quotazioni di inizio anno.

Dal punto di vista grafico siamo abbastanza vicini alle prime resistenze di 1.335 e 1.350 dollari, forte barriera a 1.380 il cui superamento darebbe un segnale rialzista fortissimo. Non si possono peraltro escludere ripiegamenti a 1.280 qualora la Corea del Nord uscisse dalle cronache, evento a questo punto poco probabile.

Considerando i rischi dei mercati azionari e obbligazionari in questa fase, l’oro resta un’allocazione interessante per una modesta parte del portafoglio, meglio se costituita da oro fisico: come monete o lingotti.


Maurizio Mazziero
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