Sui mercati azionari il risk on domina ancora lo scenario. Gli investitori continuano a puntare sull’efficacia dei vaccini e – conseguentemente - su un’ulteriore ripresa dell’economia. Dai minimi dello scorso marzo l’indice americano S&P 500 ha guadagnato circa l’80%, salendo sino a sfiorare i 4.000 punti. Il Nasdaq, dal canto suo, continua a macinare nuovi record, con le quotazioni ormai in area 14.000 punti, mentre il Dow Jones ha rotto al rialzo la soglia dei 31.000.
Crollo e successiva rimonta dell’indice S&P 500, ormai a ridosso dei 4.000 punti. Fonte: piattaforma ActivTrader
Guardando l’Italia, anche il FTSE Mib continua ad essere ben impostato. L’indice milanese ha superato i 23.500 punti, circa 9.000 in più rispetto ai minimi del marzo 2020 ed ormai meno di 2.000 in meno rispetto ai massimi del febbraio 2020. Nelle ultime settimane, poi, la nomina di Mario Draghi, ex governatore centrale della BCE ha generato altri acquisti sul FTSE Mib. Ne hanno beneficiato soprattutto i titoli bancari, con Intesa volata sopra i 2 euro, mentre Unicredit passa di mano in area 8,50 euro per azione.
La domanda che tutti si pongono è sempre la stessa: fino a quando può durare questa euforia generalizzata sui mercati? Come valutare il prezzo delle azioni? È difficile porre paletti, anche perché i numeri di bilancio di molte aziende non sembrerebbero destinati a generare tutto questo entusiasmo. Quanto stiamo vedendo in borsa è però la combinazione delle attese per un recupero nella seconda parte del 2021 (e soprattutto nel 2022) con le politiche particolarmente espansive delle banche centrali.
I tassi di interesse negativi spingono di fatto gli operatori ad investire la propria liquidità. Mantenere il denaro fermo, non soltanto non rende, ma addirittura rischia di diventare un costo. È vero, il rischio di vivere in una grande bolla, una colossale distorsione dei prezzi di mercato c’è, ma, ma non è facile capire se e quando si potrà tornare indietro.
Ecco spiegato quindi l’attuale scenario, che fra il resto vede anche i BTP con scadenze fino ad oltre cinque anni offrire rendimenti negativi.
Dando uno sguardo al forex market, ossia il mercato valutario, lo scenario di fondo sul cambio fra euro e dollaro ci presenta ancora la sfida fra gli investitori che puntano su un “minidollaro”, destinato nel medio termine a perdere il ruolo di valuta unica di riferimento e chi invece ritiene che la discesa della banconota verde, almeno per il momento sia stata sufficiente.
Nel complesso, sembra prevalere la prima tesi, con il cambio nuovamente oltre 1,21, pronto ad attaccare l’area 1,225.
Spostandoci verso il Regno Unito, resta ancora forte la sterlina, salita oltre 1,39 contro il dollaro. Il cross EUR/GBP è arrivato a testare 0,872, su valori che non si vedevano dallo scorso maggio. La situazione britannica appare tuttavia particolarmente complessa. La Brexit pare essere arrivata nel peggior momento possibile, con il paese reduce da un lunghissimo lockdown e la city londinese che mostra segnali di debolezza. I mercati, però, puntano su una progressiva ripresa e paiono ancora brindare allo scampato pericolo di una Brexit senza accordo (anche se quello ottenuto è assai sottile). Inoltre, ritengono improbabili tassi negativi da parte della Bank of England, altro elemento favorevole per la ripresa del pound.
Il clima di generale ottimismo che si respira sui mercati ha spinto ulteriormente al rialzo le quotazioni del petrolio. Il Brent, ossia il greggio del Mare del Nord è ormai scambiato a 63 dollari al barile, mentre il WTI naviga intorno alla soglia psicologica dei 60 dollari al barile. Sembra passato un secolo, invece sono trascorsi appena dieci mesi da quando il future di maggio 2020 del WTI quotò per qualche ora in negativo, arrivando ad un record negativo di -37 dollari al barile.
Articolo a cura di Carlo Alberto De Casa, capo analista presso ActivTrades.
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