Le colombe volano sulle banche centrali

Rossana Prezioso Rossana Prezioso - 20/02/2019 15:16

I mercati sono in attesa delle minute della Fed per trovare nuovi indizi e capire le intenzioni della banca centrale statunitense. Intanto le banche centrali potrebbero ritornare ad essere dovish su tutti i fronti. Il punto della situazione con Saverio Berlinzani cambista professionista e formatore.

 

Il dollaro vive un momento particolare. L’evento del giorno è la pubblicazione delle minute della Fed ma il quadro generale che ne influenza l’andamento è ben più ampio. Quale destino lo attende?   

In un quadro generale in cui si assiste ad un certo calo economico a livello globale, gli Stati Uniti sono gli unici che non evidenziano un rallentamento della congiuntura. I dati macroeconomici, infatti, presentano ancora una certa forza. Questo è comunque una sicurezza importante per la Fed. La banca centrale Usa, infatti, da un lato vorrebbe fare un ultimo rialzo, dall’altro, però, si rende conto di dover prestare attenzione ad un possibile rallentamento economico in arrivo. Da parte sua il mercato nell’ultima settimana ha prezzato un ipotetico ritorno del Tltro in Europa dopo le dichiarazioni di Draghi ed altri esponenti della Bce. Inoltre ha anche prezzato le parole sia dei vertici della Reserve Bank of New Zealand che della Reserve Bank of Australia che hanno preferito non sbilanciarsi, lasciando aperte tutte le opzioni sul tavolo. In altre parole sia la possibilità di un rialzo che quelle di un ribasso.

Quella che si respira tra le banche centrali a livello mondiale è un’aria tendenzialmente dovish. Uniche eccezioni potrebbero essere la Fed e la Bank of England. In tutto questo il dollaro fino ad ora è rimasto forte (1,1250 contro l’euro e 1,285 contro la sterlina) ma nelle ultime ore si è assistito ad un cambio repentino del trend. Le ragioni sono differenti. Da un lato il presidente Usa, Donald Trump, che non vuole un dollaro forte, dall’altro crescono le speranze di un accordo con la Cina sulla questione dei dazi. Dazi che, da parte loro, rallentano la salita del Renminbi offshore (CNH) cosa che, a sua volta, alimenta la spirale del ribasso del dollaro contro euro, sterlina ed altre valute (ad esempio quella australiana o neozelandese etc). Inolte il dollaro ripiega, dopo un anno di rialzi, anche per un mercato che si muove sulle aspettative. il biglietto verde, infatti, ha già scontato l possibilità di un ulteriore QE in Europa, la sempre più probabile continuazione del QQE in Giappone e addirittura un eventuale taglio dei tassi in Australia e Nuova Zelanda prima della fine dell’anno. Adesso il mercato va oltre: un rallentamento che da qui a sei mesi potrebbe coinvolgere anche i dati macro statunitensi. 

 

Hard Brexit e no deal sempre più concreti. Ma la sterlina regge il colpo. Analisti troppo ottimisti o pericolo sopravvalutato?

La debolezza della sterlina è già all’interno dei prezzi. 1,285 era già stato un livello estremamente basso. Perciò chi si aspetta un ulteriore calo per un no deal Brexit potrebbe restare deluso. Attualmente è vero che è molto più probabile adesso rispetto a qualche mese fa. Maè anche vero che ci sono discussioni interne al partito conservatore per riproporre all’Europa un tentativo per un nuovo accordo. Il che offre nuove speranze. In realtà si tratta di una volontà che è in un certo senso bipartisan dal momento che coinvolge anche il partito unionista irlandese con la questione del backstop.

Ed è su questo che Theresa May si sta muovendo. Perciò personalmente non ho una view particolarmente ribassista. Credo, infatti, che sul medio-lungo termine il ribasso della sterlina sia giunto al capolinea. Non bisogna dimenticare, infatti, che dall’inizio della Brexit la valuta inglese è scesa del 22%. Al massimo concedo un ulteriore calo a 1,24-1,25 ma credo che allo stato attuale siamo più vicino alla parte bassa del range che non a quella alta. Alla fine l’accordo sarà trovato perché è nell’interesse di tutti farlo.

 

Il Giappone e il suo QQE infinito. Ci sono stati dei benefici per l’economia?

In Giappone il Quantitative and Qualitative Easing viene portato avanti e non sembra esserci intenzione, da parte del governatore della BoJ Haruiko Kuroda, di fermarlo. Del resto è una politica che Tokyo sta attuando da anni, con un’economia che sta crescendo a dei ritmi moderati e lenti. Il vero problema della nazione è l’invecchiamento della popolazione, con le pensioni che gravano molto sul bilancio pubblico. Nello stesso tempo, però, i giapponesi hanno in mano la maggior parte del debito pubblico e quindi anche le agenzie di rating tendono a considerarlo, sulla base di una crescita non estrema ma costante, una realtà economica solida. Il panorama generale è quello di un rallentamento globale omogeneo, nel quale solo gli Usa riescono a reggere. Ma in prospettiva potrebbe esserci un aumento della pressione al rischio.     

 

Intervista a cura di Rossana Prezioso

 

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